Due anni fa, un quotidiano locale ospitò alcune considerazioni in relazione ad alcune importanti scelte che, a livello regionale, andavano maturando. E’ partendo da quelle osservazioni che oggi è necessario prospettare interventi e soluzioni per un miglioramento della struttura commerciale.
Chi è stato in Oriente condividerà il parere che il centro di Gorizia è, in sostanza, un suk. In altre parole, un centro commerciale a cielo aperto. Che fare, quindi, per valorizzare questo centro commerciale già bell’è pronto? Parafrasando il titolo di un convegno, che si era svolto in quei mesi, scrissi che Gorizia ha bisogno di negozi di successo per guidare il processo di cambiamento e la competitività con la grande distribuzione che non può non esistere. Gli ingredienti di un commercio di successo sono la professionalità, che solo un esperto del settore può garantire, e la specializzazione, che consente di offrire un servizio in più e vince sulla standardizzazione dei grandi numeri.
Analizzando questi due aspetti, c’è da dire che studi del settore hanno individuato una evoluzione dei consumi verso prodotti di qualità e di nicchia, quasi personalizzati: la camicia su misura, la gastronomia di una determinata area geografica, tanto per fare degli esempi.
Per quanto riguarda la professionalità, la questione è un po’ più complessa e ben lo aveva compreso la commissione economia del parlamento che aveva sostenuto la necessità di inserire nella normativa di riforma del commercio proprio l’aggiornamento professionale (ovviamente facoltativo) destinato agli operatori commerciali. Questa norma che si configurava come un indirizzo teso alla qualificazione del comparto commerciale, è stata fatta propria dalla regione Friuli Venezia Giulia soltanto con una modifica dello scorso anno, ma non risulta, allo stato attuale, che la formazione abbia ancora preso avvio.
La questione sostanziale è, oggi, incominciare ad immaginare uno sviluppo del commercio tradizionale, dal punto di vista della qualificazione, sotto tutti i punti di vista. L’unico modo per farlo, tuttavia, è avviare una fase di concertazione, a livello di territorio, tra tutti i soggetti cointeressati e anche direttamente coinvolti. Finalizzare politiche urbanistiche, del credito e dei tributi per questo settore produttivo del territorio è diventato indispensabile, ma non più sufficiente, dal momento in cui le strategie inventate dalla GDO diventano sempre più aggressive. Sconti, ribassi e sottocosto sono sirene alle quali il consumatore raramente riesce a resistere. Ciò che serve, quindi, è una azione di marketing pubblico-privato.
Non c’è scelta, infatti. Se il valore trasversale del piccolo dettaglio è riconosciuto, poiché coinvolge i consumatori, ma anche la vivibilità del centro urbano, è ora di mettere mano ad una normativa che in questi ultimi cinque anni ha, pesantemente, consentito lo sviluppo della grande distribuzione, in spregio a tutta la programmazione regionale approvata all’inizio degli anni 90. In pratica, si è fino ad ora, legiferato senza valutare l’andamento dei consumi, l’impatto economico degli ipermercati sulla rete esistente ed, anzi, rinviando l’applicazione dei vincoli urbanistici che la riforma regionale di quattro anni fa aveva deciso e che ponevano precisi limiti all’accesso delle strutture con più di due mila e 500 metri quadrati. Nelle dichiarazioni programmatiche del neoeletto Presidente della Giunta Regionale, al negozio tradizionale viene riconosciuto il ruolo di “luci della città”. Senza alcun eufemismo, ma con la concretezza di chi da trent’anni segue costantemente l’andamento del comparto, i suoi problemi e i suoi successi, si può ben dire che queste luci sono destinate inevitabilmente a spegnersi, in quanto non c’è alcun segnale di speranza nel mutamento delle cose. Nella prima legge che ha interessato il comparto non è stato, infatti, inserito alcun articolo che avrebbe potuto aiutare il settore del commercio tradizionale, anzi. Sono stati inseriti lacci e lacciuoli che nulla hanno a che vedere con la politica di semplificazione e liberalizzazione, voluta dall’allora ministro Bassanini e, oggi, dal nuovo Governo (nda vedasi la recente legge di semplificazione 2001). Il privato, da parte sua, dovrebbe iniziare a cofinanziare gli interventi di marketing come, avviene, ad esempio, nella sempre citata Salisburgo.
Il Comune di Gorizia, nel frattempo, ha individuato la necessità di procedere al recupero funzionale del vecchio mercato di via Boccaccio. Questa felice intuizione, voluta dalla passata amministrazione e con convinzione portata avanti da quella attuale, può diventare uno dei cardini sui quali costruire la nuova città emporiale. Il vecchio mercato ortofrutticolo non ha soltanto una interessante struttura architettonica che vale la pena recuperare ma per la sua collocazione centrale può rappresentare la memoria storica di cio’ che Gorizia ha rappresentato, un po’ come Les Halles a Parigi. Del resto, con la sistemazione di piazza Vittoria, ormai imminente, si sta andando a riqualificare una vasta area che per secoli è stata il fulcro della città. Questo, comunque, deve rappresentare soltanto il punto di partenza per creare le condizioni di una attrattività complessiva del centro.
L’altra questione legata alla sistemazione della piazza Vittoria e del suo collegamento con il colle del castello è sviluppare una riflessione su ciò che il castello di Gorizia rappresenta, per la città. Il castello è l’immagine stessa della città. E’la sua icona. Il suo cuore. Ogni città ha il suo cuore che si identifica sempre con il suo centro storico. Gorizia, per la sua particolare conformazione urbanistica è priva del cuore-centro con la conseguente necessità di dover individuare un luogo alternativo capace di “concentrare” in se il significato che il centro urbano rappresenta, sempre, per l’intera città.
In questo contesto si inserisce la necessità, o meglio ancora la imprescindibilità di ripensare ruolo, utilizzo e destinazione del maniero e dell’intero borgo.
Il borgo e il castello devono diventare il centro propulsore di una città che vive. E’ tempo ormai di rimuovere l’etichetta, l’immagine, di città chiusa in se stessa che per lungo tempo l’ha rappresentata.
Per raggiungere questo obiettivo é indispensabile agire, contemporaneamente, su più fronti coinvolgendo sinergie pubbliche e private. Per quanto riguarda il borgo, innanzitutto è indispensabile creare i presupposti per un diverso possibile uso degli immobili, limitatamente ai pianoterra. Devono essere concessi sgravi, incentivi e qualsiasi altro mezzo per incentivare la modifica della destinazione d’uso, all’interno del borgo e anche lungo il viale D’Annunzio, da residenziale a commerciale/artigianale. Uno spazio privo di botteghe è per sua natura uno spazio non vivo. Se ci sono vincoli di natura urbanistici, questi devono essere rimossi.
Relativamente al maniero vero e proprio, invece, c’è da chiedersi se il castello deve continuare ad essere luogo principe museale o se, invece, un suo utilizzo diversificato può contribuire alla costruzione di quel centro propulsore di cui la città ha bisogno.
Del resto, le recenti iniziative adottate (celebrazioni matrimoni) e la realizzazione del collegamento stesso con la piazza Vittoria hanno accelerato la dimostrazione della opportunità di una fruizione maggiormente condivisa dalla città che deve ritrovare, nel suo castello, il riconoscimento della sua identità.