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Riecco le risoluzioni del Ministero!
 

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Continua, con la solita cadenza trimestrale, la pubblicazione da parte del Ministero dello sviluppo economico delle risoluzioni. Cambia nome ma non cambia pelle il Ministero dello sviluppo economico che dirama pareri il cui contenuto, a volte può essere condiviso e, a volte, proprio no. E’ il caso di questo pacchetto che contiene la posizione del Ministero su undici specifici argomenti, assunta nel periodo che da marzo a maggio di quest’anno, che vanno dalla offerta di materiale pornografico, al commercio di cose usate, dalla soppressione del rec per la somministrazione ai requisiti per i cittadini stranieri e alla vendita dei farmaci che, ovviamente, tiene banco.

La vendita dei quotidiani
La prima risoluzione del 7 marzo riguarda la vendita di tutti i quotidiani e periodici. Su questo argomento, il punto di vista è chiaro: la liberalizzazione che il Ministro Bersani ha cercato, vanamente, di portare a casa per due volte è l’obiettivo a cui anche il comune deve tendere in quanto i prodotti editoriali sono un mezzo di diffusione della cultura. Come poter dare torto a questa considerazione che non può non essere condivisa? Altra cosa, però, è il principio di legalità e fino a quando la legge non cambia e liberalizza la vendita del prodotto editoriale non c’è nulla da fare anche perché, relativamente a questi input, c’è a proposito chi ha anche espresso il suo punto di vista: le proposizioni di una circolare ministeriale (per loro natura non vincolanti, in quanto meramente interpretative) se erronee, devono essere semplicemente disapplicate. E' quanto testualmente rileva il Consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza del 21 giugno 2006 n. 3714.

La vendita delle bibite da parte degli artigiani
Il 15 marzo il Ministero ha preso in esame la questione, diffusa in tutto il Paese, della vendita di bevande da parte degli artigiani. Su questo argomento, la risposta è stata pilatesca. Infatti, il Ministero esclude la possibilità di ritenere rientrante nell’ambito dell’articolo 4 (ambito di esclusione dall’applicazione del d.lgs 114/1998, comma 2, lettera f) la fattispecie che, quindi, deve essere autorizzata mediante la presentazione del COM 1 “previa verifica della possibilità del rispetto delle condizioni igienico sanitarie e dei regolamenti adottati dall’ente competente per territorio”. E’ difficile comprendere per quale motivo, il compilatore del parere ha operato una estrapolazione dell’articolo 7, comma 2, lettera b). La disposizione, infatti, prevede che nella comunicazione l’interessato dichiara: “di avere rispettato i regolamenti locali di polizia urbana, annonaria e igienico-sanitaria, i regolamenti edilizi e le norme urbanistiche nonché quelle relative alle destinazioni d'uso”. E allora, se la destinazione d’uso è artigiana, come può l’interessato dichiarare la conformità (a fini commerciali) della destinazione d’uso autorizzata? In questo caso, come chi mi legge e ascolta, ormai ha avuto modo di approfondire, l’unica cosa da fare è di non discriminare la categoria degli artigiani, all’interno delle diverse merceologie. Come agli acconciatori ed estetisti è consentita la vendita dei prodotti inerenti allo svolgimento della propria attività, così al calzolaio non può essere inibita la possibilità di vendere il lucido per le scarpe e i lacci e al gommista la gomma di ricambio e così via. Come consentire tutto ciò? Lo strumento è la straordinaria opportunità fornita dal quartultimo comma del novellato articolo 117 della Costituzione che i Comuni, non sarà mai troppo tardi, devono iniziare ad utilizzare. Insomma, esercitare l’autonomia normativa introducendo nell’ordinamento locale questa disposizione:

Art. xx Vendita da parte degli artigiani

1. Alle imprese artigiane è consentita l’attività di vendita di prodotti appartenenti al settore alimentare e non alimentare, similari e accessori a quelli di propria produzione ovvero per la fornitura al committente dei beni accessori all’esecuzione delle opere o alla prestazione del servizio, entro il limte di mq xxxxi
2. Nell’ipotesi di cui al sopraindicato comma, l’artigiano dichiara il possesso dei requisiti di onorabilità e professionali previsti dalla l.r. xx del xxxx (ovvero dell’art. 5 del d.lgs 114 del 1998)

La vendita di cose usate
Il commercio in conto vendita è soggetto a due licenze: quella prevista dall’art. 126 (cose usate) e quella prevista dall’art. 115 (agenzie di affari). Questo, con riguardo alle considerazioni espresse nella risoluzione n. 2726 del 15 marzo 2007. A tale proposito, (ma senza assolutamente entrare nel merito della questione in quanto, a mio avviso, gli eventuali dubbi sono già stati a suo tempo rimossi), è necessario puntualizzare che il secondo comma dell’articolo 247, introdotto dal d.p.r. 311/2001 non dice ciò che il Ministero cita (evidentemente a memoria). L’articolo 247 del regolamento t.u.l.p.s., infatti, testualmente recita:
Fatte salve le disposizioni di legge in materia di prevenzione del riciclaggio, le disposizioni degli articoli 126 e 128 della legge si applicano al commercio di cose usate quali gli oggetti d'arte e le cose antiche, di pregio o preziose, nonche' al commercio ed alla detenzione da parte delle imprese del settore, comprese quelle artigiane, di oggetti preziosi o in metalli preziosi o recanti pietre preziose, anche usati. Esse non si applicano per il commercio di cose usate prive di valore o di valore esiguo."
Dalla lettura di questa disposizione, che mi sembra chiara, si evince che l’articolo 126 si applica (rifaccio copia/incolla) agli oggetti d'arte e le cose antiche, di pregio o preziose. Quindi, all’interno del genere “cose usate” abbiamo la specie cose antiche, la specie cose di pregio, la specie cose preziose. Di queste, alcune possono essere prive di valore o di valore esiguo e, quindi, per il commercio di quest’ultime, non si applica l’articolo 126 e l’articolo 128. Se l’intento era diverso, il ministero avrebbe dovuto scrivere la disposizione in maniera differente.

D.i.a. o autorizzazione?
Nella medesima risoluzione il Ministero indica, quale ipotesi di procedimento, la d.i.a. E’ ben noto che la dichiarazione di inizio attività può essere utilizzata in sostituzione del procedimento autorizzatorio quando non sussistono, in capo all’amministrazione competente, valutazioni discrezionali. Riguardo a tale questione, ho già avuto più volte modo di dilungarmi e, quindi, riassumo il senso delle argomentazioni sviluppate. I requisiti per l’esercizio delle attività disciplinate dal t.u.l.p.s., sono quelli fissati dall’articolo 111 del testo unico. In particolare, il comma secondo dell’art. 11 prevede alcune ipotesi di condanne per reato, che demandano, o demanderebbero, all’autorità competente (nella fattispecie il Comune) la discrezionalità se concedere o meno la licenza. Neppure dopo la modifica dell’art. 19 disposta dalla l. 80/2005, la legge di riconversione del d.l. 35/2005, che ha tolto l’inciso riferito alle valutazioni tecniche discrezionali, può essere mutata l’interpretazione. Il legislatore ha ritenuto che il modello dell’ autoresponsabilità del privato non può arrivare a consentire la sostituzione dello stesso privato all’amministrazione nella funzione di apprezzamento e di comparazione degli interessi pubblici, ovvero nell’ubi consistam della discrezionalità amministrativa2. Di conseguenza, i procedimenti che presuppongono l’applicabilità dell’art. 11 del t.u.l.p.s. non possono essere assoggettati al procedimento della d.i.a. se, prioritariamente, la Regione o il comune non introducono le necessarie correzioni che il Ministero dell’Interno ha introdotto con i d.p.r. 480 e 481 del 2001.

La vendita dei farmaci
Con la risoluzione del 10 maggio 2007 n. 4630 il Ministero dello sviluppo economico affronta la questione della vendita dei farmaci negli esercizi di vicinato, autorizzati alla vendita dei prodotti non alimentari. Su quest’aspetto, le argomentazioni che inducono ad una interpretazione difforme a quella sostenuta dal Ministero sono già state pubblicate a questo indirizzo http://www.astrid-online.it/farmaci/index.htm al quale, logicamente, si rinvia. Ciò che si ritiene necessario evidenziare è che nella risoluzione in questione non viene data alcuna motivazione a sostegno dell’interpretazione fornita, e questo ci sembra limitativo per una problematica che riveste complesse tematiche.

_________________________________________________________

1 Cfr art. 11 tulps - Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate:
a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione;
a chi è sottoposto all'ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.
Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta.
Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione.

2 M.FILIPPI, La nuova dia e gli incerti confini con il silenzio-assenso. Articoli e note. Nel sito www.giustamm.it

giugno 2007

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