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Il 13 giugno scorso, con 265 voti favorevoli e 221 contrari, la Camera dei
deputati ha approvato il disegno di legge 2272 bis bis derivante dallo stralcio
del progetto presentato alla Camera dal Governo, il 16 febbraio scorso. Il
progetto di legge “Misure per il cittadino consumatore e per agevolare le
attività produttive e commerciali, nonché interventi in settori di rilevanza
nazionale” era nato contemporaneamente al decreto-legge 31 gennaio 2007, n.7
"Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza,
lo sviluppo di attività economiche e la nascita di nuove imprese" che,
pubblicato nella gazzetta ufficiale n. 26 dell’ 1 febbraio 2007, ne doveva
rappresentare il naturale completamento coinvolgendo il Parlamento in un
dibattito su materie e scelte in cui era, o si riteneva, necessario costruire un
più ampio consenso.
Alla fin fine, leggendo il testo emendato in aula, le dichiarazioni e le
interviste, ancora una volta l’impressione che si ricava è che l’attuale sistema
poggia su un equilibrio talmente fragile che gli interessi delle lobby riescono
a prevalere, là dove gli interessi generali non riescono ad essere tutelati
nonostante l’impegno profuso dalle Autorità.
E’ di alcune settimane fa, e precisamente del 14 giugno, la presa di posizione
dell’ Autorità garante della concorrenza e del mercato, di denuncia dell’
interpretazione restrittiva fornita dallo stesso Ministero dello sviluppo
economico in una circolare esplicativa emanata l’indomani del primo pacchetto di
liberalizzazioni licenziato con il d.l. 223/2006 ma fortemente ridotto dal
Parlamento in sede di conversione. Nell’esercizio del potere di segnalazione
previsto dall’articolo 21 della legge n. 287/90, che ha istituito l’autorità,
sono state formulate alcune osservazioni in merito all’applicazione
dell’articolo 31, comma 1, lettera d), della legge n. 248/2006,
(legge di riconversione del d.l. 223/2006). L’Autorità ha contestato l’
orientamento espresso dal Ministero dello sviluppo economico e le
interpretazioni di alcune regioni che hanno ridotto l’ambito di applicazione dei
principi di liberalizzazione introdotti da tale disposizione al fine di
mantenere in vigore meccanismi restrittivi di programmazione locale e, quindi,
di violazione dei principi comunitari in materia di concorrenza. In particolare,
l’Autorità ritiene che l’applicabilità dell’articolo 3, comma 1, lettera d)
della legge Bersani vada estesa a tutte le attività economiche normate
dall’articolo 3 della legge 248/2006 e, quindi, anche per il settore della
somministrazione di alimenti e bevande. L’interpretazione poggia sul fatto che
il primo comma dell’articolo 3 fa espresso riferimento alle attività
commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e
di somministrazione di alimenti e bevande. E’ puntuale l’intervento
dell’Authority di giugno che, anche se emanato per una particolare circostanza,
coglie l’occasione per ribadire che le attuali discipline trovano la loro ragion
d’essere non tanto nel perseguimento di interessi generali quanto nella difesa
di interessi corporativi e di parte, che frenano lo sviluppo e ostacolano la
competitività dell’economia italiana nella prospettiva europea. Il messaggio è
certamente un richiamo al Parlamento nel momento in cui è in corsa la navetta
per l’approvazione del ddl 2272 bis bis. Al Senato, il testo approvato è stato
presentato alla decima Commissione permanente il 12 luglio.
Il disegno di legge all’esame del Senato
E’ improbabile che il ddl 2272 bis bis riesca ad essere approvato dal Senato
prima della pausa estiva. E nel caso in cui ciò, invece, avvenga, è verosimile
che il testo ritorni alla Camera in quanto per alcuni emendamenti approvati c’è
l’impegno del Governo ad una revisione. Nulla di definitivo ancora, quindi, ed è
per questo motivo che alcune riflessioni sull’articolato possono essere di
qualche utilità.
Il comma 12 dell’articolo 1 del d.l. 1644 contiene una premessa
ridondante che riguarda la tutela della concorrenza. E’ puntualizzazione
necessaria per far capire bene a regioni ed enti locali che le disposizioni sono
emanate in attuazione del trattato CE, in attuazione dei principi costituzionali
sanciti dall’articolo 3, (uguaglianza formale e sostanziale), l’articolo 11
(limitazione della sovranità in determinate materie) e in attuazione dell’art.
41 della Cost, che afferma il principio di libertà di iniziativa economica.
A prescindere dall’ultimo enunciato dell’articolo che fa espresso riferimento
alla distribuzione dei carburanti, non è facile capire quale fosse la volontà
dell’autore della norma o quale interesse particolare si intendesse tutelare.
Una possibile soluzione interpretativa circa la possibilità di abbinare nello
stesso locale l’attività di vendita e servizi potrebbe essere quella che con le
nuove norme si potrà consentire al ciabattino di vendere i lacci per scarpe,
all’estetista la vendita di cosmetici, all’acconciatore la vendita di pettini,
spazzole e accessori vari. Insomma sarebbe possibile ciò che da cinque anni
ormai è ammesso per gli imprenditori agricoli, a prescindere dagli aspetti
meramente fiscali. Sono soltanto degli esempi, ma, allo stato attuale il
problema tocca realmente soltanto alcune categorie di artigiani, quali ad
esempio, le gastronomie e le gelaterie artigiane che per poter vendere le bibite
devono comunicare l’apertura di un esercizio di vicinato pur non sussistendone i
presupposti e i requisiti oggettivi. Sarà la fantasia degli imprenditori a
dimostrare, o meno, la portata liberalizzatrice di questa norma che consentirà,
in un medesimo luogo e compatibilmente con le previsioni urbanistiche, di
esercitare più attività a condizione che le stesse siano complementari e
accessorie l’un l’altra. Certamente, lo specifico riferimento ai distributori di
carburante porterà sempre più questi luoghi a divenire centro di servizi come
già avviene oltreoceano. Insomma non più solo un’area di servizio e di ristoro
ma anche di divertimento di intrattenimento, in pratica un punto di riferimento
per gli automobilisti che vi transitano.
Il quarto comma del medesimo articolo 1 è ripropositivo di quanto già affermato
nelle due precedenti lenzuolate: “Le regioni e gli enti locali adeguano le
proprie disposizioni legislative e regolamentari ai principi di cui ai commi 1,
2 e 3 entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.”
E’ un termine questo per l’eventuale, se necessario, adeguamento delle
disposizioni da parte di regioni, province e comuni, nel rispetto delle
competenze attribuite alle regioni e agli enti locali dal novellato articolo 117
Cost.. Scaduto questo termine, ha precisato il Ministro Bersani nel corso
dell’audizione alla Commissione parlamentare per le questioni regionali del 13
giugno scorso, “le norme sono rivendicabili, esigibili a livello locale, da
parte di utenti, cittadini ed operatori.”.
L’articolo 2 è, in sintesi, la materializazione della politica dei piccoli
passi. Questa volta, tuttavia, la paternità non è attribuibile al Governo.
Infatti, l’articolo 2, la cui rubrica recita “Dispensazione dei medicinali
esclusi dall’assistenza farmaceutica” è frutto di un emendamento d’aula che il
Ministro Turco ha criticato perché non in linea con i programmi del Governo. In
pratica, se questa norma dovesse divenire legge, alle attuali farmacie
rimarrebbe la sola esclusiva dei farmaci rimborsabili dal servizio nazionale.
Una significativa rivoluzione rispetto alla timida apertura di un anno fa
allorquando venne consentito il commercio, al di fuori delle farmacie, soltanto
dei farmaci per la cui vendita non è necessaria la prescrizione medica.
Artigiani prendi-tutto
In Italia c’è un detto: gli dai un dito e ti prendono un braccio! Gli artigiani
del settore alimentare hanno imparato bene la lezione visti i risultati che sono
riusciti ad ottenere. Nate negli anni 80 per eludere la disciplina in materia di
somministrazione al pubblico d alimenti e bevande che contingentava le licenze
per l’apertura di nuovi esercizi, pizzerie al taglio e gelaterie si sono via via
diffuse in tutto il territorio.
Per comprendere come la politica dei piccoli passi abbia premiato l’attesa delle
imprese è necessario partire dalla legge 25 luglio 1956, n. 860, (Norme per la
disciplina giuridica delle imprese artigiane) che, all’articolo 7 prevedeva che:
“Per la vendita degli oggetti di produzione propria, sempre che avvenga nel
luogo di produzione, le imprese artigiane sono esonerate dall'obbligo di munirsi
della licenza di commercio rilasciata dai Comuni a norma del R.D.L. 16 dicembre
1926, n. 2174, convertito nella L. 18 dicembre 1927, n. 25013”.
Istituite le regioni ed assegnate ad esse la disciplina di dettaglio, con legge
8 agosto 1985 n. 443 veniva approvata la Legge-quadro per l'artigianato. La
legge-cornice, in pratica, che delineava l’ambito, i principi, entro il quale
ogni singola regione avrebbe potuto legiferare. Per la legge quadro nazionale,
oggi, “È artigiana l'impresa che, ………, abbia per scopo prevalente lo
svolgimento di un'attività di produzione di beni, anche semilavorati, o di
prestazioni di servizi, escluse le attività agricole e le attività di
prestazione di servizi commerciali, di intermediazione nella circolazione dei
beni o ausiliarie di queste ultime, di somministrazione al pubblico di alimenti
e bevande, salvo il caso che siano solamente strumentali e accessorie
all'esercizio dell'impresa.” Questo limite della strumentalità, si associa
per naturale affinità ad un’altra disposizione contenuta all’articolo 2 della
legge quadro4; ed è la norma la quale prevede che l'imprenditore
artigiano, nell'esercizio di particolari attività che richiedono una peculiare
preparazione ed implicano responsabilità a tutela e garanzia degli utenti, deve
essere in possesso dei requisiti tecnico-professionali previsti dalle leggi
statali. Ebbene, questa norma è sempre stata disattesa, perché pizzerie al
taglio, gelaterie artigianali, rosticcerie e pasticcerie sono prolificate senza
che venisse mai richiesto loro di dimostrare quei requisiti professionali che,
invece, erano obbligatori per commercianti di prodotti alimentari e ai titolari
di esercizi pubblici: bar, ristoranti e pizzerie, tanto per intenderci.
La sottile linea rossa
Il confine tra l’attività meramente commerciale, di somministrazione e
l’attività artigianale di “produzione” di alimenti, se già era sottile, si
riduce sensibilmente con il terzultimo comma dell’articolo 5 della medesima
legge quadro 443 del 1985. Questo, infatti, dispone che: “Per la vendita nei
locali di produzione, o ad essi contigui, dei beni di produzione propria, ovvero
per la fornitura al committente di quanto strettamente occorrente all'esecuzione
dell'opera o alla prestazione del servizio commessi, non si applicano alle
imprese artigiane iscritte all'albo di cui al primo comma le disposizioni
relative all'iscrizione al registro degli esercenti il commercio o
all'autorizzazione amministrativa di cui alla legge 11 giugno 1971, n. 426 ,
fatte salve quelle previste dalle specifiche normative statali.”.
Se, infatti, in vigenza della pregressa disciplina era possibile procedere alla
vendita “nel luogo di produzione” oggi, i locali destinati alla vendita, possono
essere contigui a quelli di produzione. Insomma, un piccolo passo avanti per
poter commercializzare senza dover sottostare agli obblighi previsti dalla legge
426 del 1971, la legge di disciplina del commercio, nel frattempo entrata in
vigore.
L’ulteriore balzo in avanti avviene con la legge 25 marzo 1997, n. 77.
"Disposizioni in materia di commercio e di camere di commercio". L’articolo 4 di
questa legge che tratta dei servizi sostitutivi di mensa, i cosiddetti buoni
pasto, ne consente la cessione indiscriminatamente a tutti gli esercizi
pubblici, quindi anche ai bar oltre ai ristoranti, ma prevede anche un’ulteriore
categoria di esercizi dove può essere consentito il consumo sul posto: le
rosticcerie, le gastronomie artigianali e i negozi.
Il resto è storia d'oggi. In sede di riconversione del decreto legge 223 del
2006 è stata introdotta all’articolo 3, comma 1, la lettera f bis, la quale
prevede che: non ci può essere alcun divieto per il consumo immediato dei
prodotti di gastronomia presso l'esercizio di vicinato, utilizzando i locali e
gli arredi dell'azienda con l'esclusione del servizio assistito di
somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie.
Il Ministero dello sviluppo economico è prontamente intervenuto per chiarire che
laddove si parla di arredi dell’azienda il riferimento è agli arredi tipici
degli esercizi commerciali con l’esclusione, quindi, di tavoli e sedie, ma
questa norma è stata da alcuni forzatamente interpretata come quella norma che
consente ai commercianti sì, ma anche agli artigiani, di installare sgabelli e
banconi per agevolare il consumo agli utenti.
La chiave di volta sta tutta nel disegno di legge oggi all’esame del Senato.
Il disegno di legge 1644 chiude l’era delle finzioni
All’articolo 3 (Misure per la liberalizzazione delle attività di produzione e
trasformazione alimentare) è previsto che:
1. Al fine di garantire la libertà di concorrenza in condizioni di pari
opportunità sul territorio nazionale, nonché di assicurare ai consumatori finali
migliori condizioni di accesso all’acquisto di prodotti alimentari, è consentita
alle imprese di produzione e trasformazione alimentare l’attività di vendita dei
prodotti di propria produzione per il consumo immediato, utilizzando i locali e
gli arredi dell’azienda, comprese le eventuali superfici pertinenti aperte al
pubblico, con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con
l’osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie, subordinatamente al possesso
dei requisiti professionali soggettivi riguardanti il settore alimentare, da
conseguire in applicazione dei criteri indicati dall’articolo 5 del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n.114.
A prima vista si potrebbe, con tutta tranquillità, affermare che è stata fatta
giustizia di una norma (la lettera f bis dell’articolo 3 Bersani 1) e che anche
agli artigiani, ai quali era già consentito il conferimento dei buoni pasto e il
consumo sul posto, oggi è permesso utilizzare i locali e gli arredi
dell’azienda. Tra l’altro, e questa è un’altra grande novità, anche l’artigiano
dovrà dimostrare di essere in possesso di adeguati requisiti professionali, gli
stessi che devono essere posseduti da coloro i quali commercializzano prodotti
alimentari. Pari pari, quindi, ciò che possono fare i panificatori e gli
esercizi commerciali. C’è una sola ed unica rilevante differenza all’interno del
disegno di legge all’esame del Senato: il riferimento alle eventuali
superfici pertinenti aperte al pubblico.
Le pertinenze
Ai sensi dell’art. 817 del codice civile, le pertinenze sono "le cose
destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa", cioè –
secondo la unanime rappresentazione che di tali opere è fatta – quelle non
costituenti in opere autonome ma in una pertinenza dell’immobile già esistente.
In questo senso si è espressa la quarta sezione del Consiglio di Stato, in una
vicenda nella quale il ricorrente si era visto opporre diniego di rilascio di
titolo edificatorio in quanto l’opera che intendeva realizzare (in questo caso,
una piscina all’interno della proprietà privata di cui è titolare) non era
ritenuta dal Comune una pertinenza, accessoria al fabbricato ad uso abitativo
già esistente, bensì un autentico manufatto configurante una nuova edificazione.
Con questa il Consiglio chiarì che, anche nel diritto dell’urbanistica e
dell’edilizia, il concetto di pertinenza è e rimane quello delineato
dall’articolo 817 del codice civile, ed è perciò illegittimo il diniego che
venisse opposto all’istanza di rilascio del titolo basandosi sulla
qualificazione di “nuova edificazione” anziché di manufatto pertinenziale a
servizio di un bene già esistente.
L’ambito è, quindi, estremamente vasto ma contemporaneamente limitato in termini
di qualificazione in quanto, per quanto sottile, il confine esiste ed i suoi
elementi di connotazione sono definiti. Vediamo, quindi, di riassumerli:
1) L’artigiano produce per vendere e lo può fare anche nei locali contigui a
quelli di propria produzione. Oggi il legislatore invece del termine “locali”
usa “superfici pertinenti”. Ed è difficile ritenere che il pensiero non sia
corso agli spazi all’aperto, pubblici o privati, da allestire con tavolini e
sedie. Tuttavia, riguardo questi arredi tipici della somministrazione rilevano i
punti successivi.
2) È artigiana l'impresa che abbia per scopo prevalente lo svolgimento di
un'attività di produzione di beni, anche semilavorati, escluse le attività di
somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, salvo il caso che siano
solamente strumentali e accessorie all'esercizio dell'impresa. Insomma, la
somministrazione non può essere il fine dell’attività produttiva.
3) Che le imprese artigiane siano da considerare affini alle imprese commerciali
e non a quelle di somministrazione l’ha recentemente chiarito il Tar Veneto
nella articolata sentenza n. 2198 respingendo il ricorso di una associazione di
categoria che contestava i limiti di orario imposti dal comune. Di conseguenza
regioni e comuni, nell’ambito delle proprie competenze, dovrebbero normare gli
orari di apertura e chiusura al fine di fissare una disciplina inequivocabile
tra le diverse tipologie di offerta.
4) Il Ministero dello sviluppo economico ha già chiarito che gli arredi
dell’azienda relativi all’attività di vendita che possono essere utilizzati per
il consumo sul posto non sono né i tavoli né le sedie e se questa disposizione
vale per il commercio in senso stretto, non ci sono i presupposti perché non
debba valere anche per le imprese artigiane.
Si può ben dire che l’aver previsto il possesso dei requisiti professionali per
questa categoria di imprenditori che prima potevano esercitare l’attività senza
nulla dover dimostrare assottiglia sempre di più il confine tra le tre categorie
di operatori: commercianti, esercenti e artigiani. Se il Senato riuscirà ad
inserire nel testo del disegno di legge in esame la liberalizzazione dei
pubblici esercizi che per il garante antitrust è già in vigore, si saranno
create le condizioni per una offerta diversificata, legittima sotto tutti i
punti di vista. Oggi al cittadino - consumatore è negata la necessaria
trasparenza in nome di un protezionismo che non ha più motivo d’essere, grazie
alla politica dei piccoli passi che, oculatamente, gli artigiani hanno seguito.
__________________________________________________________________
1 Legge 248/2005, articolo 3, comma 1, . Ai sensi
delle disposizioni dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della
concorrenza e libera circolazione delle merci e dei servizi ed al fine di
garantire la libertà di concorrenza secondo condizioni di pari opportunità ed il
corretto ed uniforme funzionamento del mercato, nonche' di assicurare ai
consumatori finali un livello minimo ed uniforme di condizioni di accessibilità
all'acquisto di prodotti e servizi sul territorio nazionale, ai sensi
dell'articolo 117, comma secondo, lettere e) ed m), della Costituzione, le
attività commerciali, come individuate dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n.
114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti
limiti e prescrizioni:
Lettere a) – c) omissis
lettera d) il rispetto di limiti riferiti a quote di mercato predefinite o
calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale
2Comma 1: Al fine di garantire la libertà di concorrenza in
condizioni di pari opportunità sul territorio nazionale e il corretto e uniforme
funzionamento del mercato, nonché di assicurare ai consumatori finali migliori
condizioni di accesso all’acquisto di prodotti e di servizi sul territorio
nazionale e alle attività di distribuzione commerciale e di servizio, non
possono essere poste limitazioni alla possibilità di abbinare nello stesso
locale o nella stessa area la vendita di prodotti e di servizi complementari e
accessori rispetto a quella principale o originaria, fatto salvo il rispetto
delle norme urbanistiche, edilizie, tributarie in materia di accisa,
igienico-sanitarie, di quelle a tutela della salute pubblica e della pubblica
sicurezza e di sicurezza stradale, ambientale e nei luoghi di lavoro, nonché di
prevenzione degli incendi, e ferma restando la distinzione fra settore
merceologico alimentare e non alimentare. Tale principio si applica anche alla
distribuzione dei carburanti.
3 Trattasi della disciplina in materia commerciale in vigore prima
della legge 426/1971 che aveva, per la prima volta, reso obbligatorio il
contingentamento.
4 Articolo 2 della l. 443/1985 Imprenditore artigiano.
È imprenditore artigiano colui che esercita personalmente, professionalmente e
in qualità di titolare, l'impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità
con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e
svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo
produttivo.
Sono escluse limitazioni alla libertà di accesso del singolo imprenditore
all'attività artigiana e di esercizio della sua professione.
Sono fatte salve le norme previste dalle specifiche leggi statali.