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Il silenzio non è d’oro ma scotta alquanto
Il Consiglio di Stato sanziona l’inerzia del Comune di Roma che non ha adempiuto al giudicato e nomina commissario ad acta l’assessore regionale al commercio. La vicenda che è durata più di dieci anni è una di quelle che meritano di essere raccontate perché tutta centrata sulla, relativamente nuova, disciplina in materia di semplificazione, che ha caratterizzato nell’ultimo decennio del secolo scorso, l’attività della pubblica amministrazione. Una volta, se alle domande non era data risposta, era implicito il diniego, dalla legge 241 del 1990, le cose sono andate diversamente, perché è stato introdotto nell’ordinamento il principio del silenzio assenso. In pratica, la mancata risposta negativa corrisponde ad un assenso implicito. Doppio senso ha dato il Comune di Roma a questo nuovo istituto che, alla domanda di autorizzazione presentata da un’associazione comunale aveva risposto tardivamente senza tenere conto che, nel frattempo, era maturato il silenzio assenso. Il Consiglio di Stato investito del problema già nel 2000, con decisione n. 4355 del 22 giugno 2004, non aveva avuto dubbi. Alla data di notifica dell’atto di diniego si era già formato il silenzio assenso e, quindi, l’associazione culturale che aveva richiesto l’autorizzazione per aprire un bar era legittimata a farlo. Il Comune di Roma , precisa il Consiglio di Stato, avrebbe potuto in base al secondo comma dell’articolo 20 della legge 241 del 1990, procedere all’annullamento della autorizzazione assentita, mediante il silenzio, ma non emettere un diniego espresso in quanto il ritardo della comunicazione aveva prodotto l’effetto tipico del silenzio assenso. Qual è stata la reazione del Comune a questa sentenza è presto detto. Se il Consiglio di Stato dava ragione all’associazione, dal momento della decisione partiva il termine di sei mesi per aprire il locale, con ciò ritenendo che la pronuncia dell’organo di giustizia amministrativa fosse equivalente all’autorizzazione. Da qui il pronunciamento della decadenza del titolo, la perdita per l’associazione del diritto di esercitare l’attività e, quindi, il nuovo ricorso al Consiglio che non ha condiviso l’interpretazione. Con la sentenza 345 del 6 febbraio scorso, infatti, ha chiarito che “la piena e completa attuazione del giudicato di annullamento del provvedimento negativo, presuppone il compimento di tutta la necessaria attività giuridica e materiale”. Pertanto, è il Comune di Roma ad essere stato inadempiente nel rilasciare la licenza e non, invece, l’associazione che non ha aperto il pubblico esercizio. Il Consiglio di Stato, quindi, ordina al Comune di Roma il rilascio della licenza, questa volta concretamente, precisando che se non lo farà nel termine di novanta giorni vi provvederà, in via sostitutiva, l’assessore regionale al commercio, su semplice richiesta dell’interessato. Insomma, basta scherzare sui nuovi istituti, è tempo di passare ai fatti.
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