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Lo scioglimento anticipato delle Camere arresta il processo avviato dal
Governo in tema di liberalizzazioni. In questi anni si è parlato così tanto di
“liberalizzazioni” da giungere quasi ad una assuefazione al termine, che ben
raffigura tuttavia la situazione di un mercato ingessato dalle regole. Invece,
si è parlato poco di “liberismo”, questa dottrina economica che teorizza il
disimpegno dello Stato dall'economia e che, nei fatti, costituisce il canovaccio
dal quale sono state estratte le nuove norme che abrogano le regole.
Un’economia liberista è un'economia di mercato non temperata da interventi
esterni, un’ economia dove vige il principio della tutela dell’interesse
pubblico e non quella di una categoria, o casta che dir si voglia. E allora, se
lo Stato deve rimanere estraneo per non condizionare la concorrenza che, sola,
crea le condizioni per una effettiva competitività, perché lo Stato non dipana
la matassa e nomina, in materia di mercato, un unico portavoce? La ragione di
una tal proposta sta tutta nella necessità di rendere meno distanti coloro i
quali, a vari livelli, si occupano della medesima materia. Quei civil servant
che alla francese fa tanto chic, ma che in Italia, invece, hanno il brutto nome
di burocrati, e che i vocabolari definiscono come “Funzionario della pubblica
amministrazione ma anche persona gretta, fiscale. – formalista”. Se è diventato
famoso l’aforisma di Giovanni Giolitti “per i nemici le leggi si applicano, per
gli amici si interpretano” e i giornali riservano mezza pagina alla notizia di
un burocrate licenziato, allora qualche sassolino chi appartiene alla categoria
è legittimato a toglierselo.
E’ difficile essere burocrati nell’accezione positiva del termine, e
contemporaneamente “innovatori”, come ci fregiamo d’essere, perché le notizie
che pervengono dal centro o dai suoi rappresentanti sono incoerenti e
contrastanti e, quindi, diventa praticamente impossibile disegnare uno scenario
sul quale “legittimamente” operare senza dover dar ragione a Giovanni Giolitti.
Uno degli esempi più eclatanti della difficoltà in cui gli operatori della PA
sono costretti ad operare è di questi giorni e riguarda la rilevanza o meno
delle “distanze” alla luce della prima lenzuolata di Bersani1, la
quale prevedeva all’articolo 3, comma 1, lettera b) che la disciplina di settore
non può prevedere “il rispetto di distanze minime obbligatorie tra attività
commerciali appartenenti alla medesima tipologia di esercizio”.
Già a questo proposito sono necessarie alcune precisazioni. La formulazione che
il Governo aveva utilizzato nel definire l’ambito di applicazione del decreto
legge era volutamente generica, nel senso che il divieto doveva essere applicato
per tutte “le attività economiche di distribuzione commerciale, ivi comprese
la somministrazione di alimenti e bevande”. Ma le attività economiche di
distribuzione commerciale sono varie e riguardano un po’ tutti i generi compresi
i giornali che per le politiche di liberalizzazione sono off limits. E
così, in sede di riconversione, l’ambito di applicazione delle misure è stato
contenuto alle attività commerciali “come individuate dal decreto legislativo
31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande” , in
pratica ai negozi in senso stretto ovvero a quelli per la cui regolamentazione
non esiste una disciplina specifica come è , ad esempio, per distributori di
carburanti, farmacie, generi di monopolio oltre che ai già citati quotidiani e
periodici.
Su questo specifico argomento, il primo segnale che è arrivato, giunge dalla
Prefettura di Avellino, la quale informa sindaci e commissari straordinari dei
comuni della provincia di Avellino “che l’articolo 3 del d.l. 223 del 2006 non
ha abrogato implicitamente quanto previsto dall’articolo 104 del r.d. 27 luglio
1934 n. 1265 (come sostituito dall’articolo 2, comma 1 della legge 8 novembre
1991 n. 362), laddove si consente l’istituzione di una nuova farmacia, purché
distante 3000 metri da quelle esistenti e ricorrano particolari condizioni
topografiche di viabilità” Tale disposizione normativa, puntualizza la
Prefettura avellinese, “secondo il Ministero della salute è di carattere
sanitario ed è finalizzata al raggiungimento della migliore allocazione delle
farmacie anche in deroga a quanto previsto dal criterio della popolazione”. Il
campo di applicazione della norma contenuta nell’articolo 104, conclude la nota,
è pertanto da ritenere completamente autonomo rispetto alla logica di
regolamentazione di attività commerciali del d.l. n. 223 del 2006”.
Di senso inverso il Governo che, prendendo in esame la disciplina in materia
di phone center emanata dalla Regione Veneto a fine 2007, ha deciso di
impugnare la legge “in quanto in contrasto sia con le esigenze di salvaguardia
della concorrenza, sia con il disposto dell'articolo 3 d.l. 4 luglio 2006, n.
223 (Convertito in l. 4 agosto 2006, n. 248) che esonera lo svolgimento delle
attività commerciali dal rispetto di distanze minime obbligatorie tra attività
appartenenti alla medesima tipologia di esercizio.” Il Governo chiama in causa
l’Autorità garante della concorrenza e del mercato2, che, con
riferimento all'insediamento delle attività commerciali in senso lato, ritiene
che l'ingresso di nuovi operatori non deve incontrare ostacoli e barriere di
tipo normativo e amministrativo miranti a determinare un'impostazione di
regolamentazione strutturale del mercato consistente, in particolare, nel
predeterminare rigidamente limiti quantitativi alle possibilità di entrata nel
mercato. Osta, infatti, ad un'adeguata tutela della concorrenza sia la
pianificazione del numero degli esercizi commerciali, sia l'individuazione di
aree destinabili all'apertura di esercizi commerciali unicamente al fine di
limitarne l'apertura di nuovi. Insomma, due punti di vista - sullo stesso
argomento - inconciliabili. Che fare, quindi, per non porre l’interprete in
un’insuperabile difficoltà?
Una via d’uscita, a dire il vero, ci sarebbe, e nemmeno difficile da
intraprendere perché il solco è già tracciato. E’ sufficiente leggere l’articolo
10, comma 43 della legge 287 del 1990 e il successivo articolo 224
della medesima legge, infatti, per rilevare come nella materia della tutela
della concorrenza, l’Autorità antitrust dovrebbe avere l’ultima parola.
L’ autorevolezza connaturata nel concetto stesso di Autorità non può limitare
l’intervento del garante al potere di segnalazione previsto dall’articolo 21.
Con il rischio anche di dover stigmatizzare l’intervento del Ministero dello
sviluppo economico come è successo due anni fa, con il parere del 3995
del 7 giugno 2006, fornito in relazione a provvedimenti restrittivi adottati
dalla Sicilia e dal Veneto sulla base di una circolare del Ministero stesso.
Mutuando le considerazioni che l’Autorità ha espresso, non è accettabile che
in sede interpretativa si proceda a circoscrivere la portata di una legge
nazionale, quando la legge vuole favorire la promozione di assetti maggiormente
competitivi. Insomma, per non dare ragione a Giolitti, qualcuno deve avere in
questo campo l’ultima parola. Forse, in tal modo, anche la distanza avrà un solo
senso.
28 febbraio 2008
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1 Il decreto legge al quale si fa riferimento è il n. 223
riconvertito, poi, con modifiche dalla legge 4 agosto 2006, n. 248.
2 Il parere al quale il Governo fa riferimento, è il parere 414 del 6
agosto 2007 con il quale l’Autorità antitrust prende in esame la disciplina per
i phone center della regione Lombardia.
3 La citata norma dispone che:
“4. L'Autorità ha diritto di corrispondere con tutte le pubbliche
amministrazioni e con gli enti di diritto pubblico, e di chiedere ad essi, oltre
a notizie ed informazioni, la collaborazione per l'adempimento delle sue
funzioni. L'Autorità, in quanto autorità nazionale competente per la tutela
della concorrenza e del mercato, intrattiene con gli organi delle Comunità
europee i rapporti previsti dalla normativa comunitaria in materia”.
4 L’articolo 22 la cui rubrica esplicita l’ambito dell’attività
consultiva del garante antitrust, prevede che:
“1. L'Autorità può esprimere pareri sulle iniziative legislative o regolamentari
e sui problemi riguardanti la concorrenza ed il mercato quando lo ritenga
opportuno, o su richiesta di amministrazioni ed enti pubblici interessati. Il
Presidente del Consiglio dei Ministri può chiedere il parere dell'Autorità sulle
iniziative legislative o regolamentari che abbiano direttamente per effetto:
a) di sottomettere l'esercizio di una attività o l'accesso ad un mercato a
restrizioni quantitative;
b) di stabilire diritti esclusivi in certe aree;
c) di imporre pratiche generalizzate in materia di prezzi e di condizioni di
vendita.”
5 In tale occasione, l’Autorità così si è espressa: “L’Autorità
vuole, altresì, sottolineare come non sia accettabile che in sede interpretativa
si proceda a circoscrivere la portata di una legge nazionale, che, nel caso di
specie, ha voluto favorire la promozione di assetti maggiormente competitivi in
tutto il settore della distribuzione commerciale, eliminando limiti e
prescrizioni restrittivi della concorrenza, coerentemente con gli obiettivi di
liberalizzazione e di apertura alla competizione perseguiti dalla riforma.
L’interpretazione fornita dalla Risoluzione ministeriale, peraltro, si pone in
evidente contrasto con la lettera dello stesso articolo 3 della legge n.
248/2006, che espressamente include nel proprio ambito di applicazione sia le
attività commerciali individuate dal dlgs n. 114/1998 che le attività di
somministrazione di alimenti e bevande. Al riguardo rileva, infatti, la
circostanza per cui, stando al testo della legge, l’esclusione delle attività di
somministrazione di alimenti e bevande dalla applicazione di alcune delle
esenzioni introdotte dall’articolo 3 rappresenta un’eccezione, che è stata di
volta in volta esplicitata dal legislatore, ed in ogni caso non riguarda i
limiti quantitativi di cui al punto d) di cui trattasi. In conclusione,
l’Autorità auspica un intervento tempestivo del Ministero dello Sviluppo
Economico a favore di una lettura della disposizione normativa in parola
coerente con la lettera dello stesso articolo 3 della legge n. 248/2006 ed in
linea con lo stesso spirito della legge Bersani.”