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Il dito nell'occhio: appunti e spunti in materia di Commercio (nota a margine delle risoluzioni del Ministero dello sviluppo economico
 

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Le risoluzioni del Ministero dello sviluppo economico suscitano da sempre un grande interesse, anche se, è necessario dirlo, sempre più spesso le indicazioni che vengono fornite suscitano qualche perplessità. E’ il caso dell’ ultimo pacchetto messo in rete il 9 maggio 2008, a disposizione degli operatori sia pubblici che privati, i quali, dalle argomentazioni esposte, dovrebbero pervenire ad una più facile interpretazione delle disposizioni, a volte decisamente complesse. Le sette risoluzioni che coprono l’arco temporale di due mesi (febbraio e marzo 2008) affrontano altrettante problematiche, che qui di seguito si analizzano.

1. Preposto alla vendita in un esercizio di vicinato.

Il Ministero ritiene che la seguente disposizione di cui all’articolo 5, comma 6 del decreto legislativo 114/1998
“6. In caso di societa' il possesso di uno dei requisiti di cui al comma 5 e' richiesto con riferimento al legale rappresentante o ad altra persona specificamente preposta all'attivita' commerciale.”
debba essere intesa nel senso di “garantire la presenza all’interno dell’esercizio commerciale di un soggetto in possesso dei requisiti professionali richiesti. Detto obiettivo, ovviamente, può essere perseguito solo se il soggetto qualificato è correlato ad un'unica e specifica attività. “. Questa interpretazione non può essere condivisa.

Il decreto legislativo 114 del 1998, infatti, non prevede in alcuna disposizione l’obbligo di nomina di un preposto all’interno dell’esercizio di vendita nel caso in cui l’esercizio non sia condotto direttamente dal titolare dell’esercizio. L’obbligo che la norma introduce è che ogni impresa che esercita l’attività commerciale debba avere un referente qualificato, sia esso il legale rappresentante o altro soggetto specificatamente preposto. Il legislatore, infatti, come risulta dal sopraindicato comma 6, non ha utilizzato la congiunzione “e” bensì la disgiunzione “o”. Peraltro, all’indomani dell’entrata in vigore del decreto e dell’emanazione da parte del Ministero della circolare 3467 del 28 maggio 1999, una Camera di commercio1 si interrogò sul significato che andava attribuito “all’apposito atto” di nomina, tenuto conto che la preposizione institoria non presuppone, in alcuni casi, alcun atto formale se la preposizione è generale.

L’approfondimento:
La legge 426/1971 che ha introdotto nella disciplina del commercio la figura del preposto, mutuando quella civilistica, prevedeva due sezioni specifiche: una destinata al registro esercenti il commercio ed una sezione speciale del registro nel quale venivano iscritti i legali rappresentanti delle società e i preposti alla vendita. L’articolo 9 (Elenco speciale) della legge, specificatamente, disponeva che:
Sono iscritti in uno speciale elenco annesso al registro con l'osservanza delle disposizioni di cui agli articoli 4, 5, 6 e 7 coloro:
1) che siano preposti dal titolare dell'impresa, esercente una delle attività indicate nell'articolo 1, alla gestione di ciascun punto di vendita o di esercizio pubblico, o che, in qualità di institori, siano preposti all'esercizio di una sede secondaria o di un ramo particolare ai sensi dell'articolo 2203 del codice civile;
2) che siano preposti alla gestione di punti di vendita o di esercizio pubblico dagli enti pubblici per i quali la legge e i regolamenti che li disciplinano o gli statuti prevedano l'esercizio delle attività di vendita al pubblico;
3) che siano preposti ai sensi dell'articolo 320, quarto comma, del codice civile all'esercizio di un'impresa che svolga una delle attività indicate nell'articolo 1.
In pratica, con le tre ipotesi sopraindicate, il legislatore nazionale aveva preso in esame tutte le diverse possibilità della rappresentanza disciplinata dal codice civile, sia che questa operi in un’impresa commerciale (punto 1) sia in attività non esercitata in forma imprenditoriale (punto 2) sia, infine, la rappresentanza del minore (punto 3).
La sezione III (Disposizioni particolari per le imprese commerciali) del codice civile disciplina, a differenza della rappresentanza in generale normata dall’articolo 1387, quella commerciale che attribuisce una rappresentanza commisurata alle mansioni svolte. Si tratta, dunque, di una speciale rappresentanza il cui contenuto non scaturisce soltanto da una procura (che può anche non esserci e in tal caso è generale), ma costituisce la conseguenza naturale dell’attribuzione del ruolo all’interno dell’impresa. La normativa è contenuta negli articoli dal 2203 al 2213.
Con il regolamento d.m. 375 del 1988, sono state introdotte disposizioni di dettaglio alla disciplina commerciale contenuta nella legge 426 del 1971 e, di conseguenza, anche con riferimento al registro esercenti il commercio. In particolare, l’articolo 23 (Iscrizione nell'elenco speciale di cui all'art. 9 della legge) del regolamento, al comma 4, prevede che:
4. L'iscrizione nell'elenco speciale può essere ottenuta, oltre che per l'institore, per qualsiasi dipendente dell'impresa o dell'ente pubblico che ne abbia i requisiti.
Questa disposizione, allora, era di portata innovativa perché annullava il principio della personale responsabilità dell’esercizio in capo al soggetto che, in possesso dei requisiti professionali, garantiva il corretto svolgimento dell’attività. In sostanza, con la possibilità di ammettere l’iscrizione al registro dell’addetto alla vendita di cui all’articolo 2210 del codice civile con ciò, automaticamente, era considerata legittima l’ingerenza nella conduzione dell’attività d’impresa al titolare, legale rappresentante, pur in assenza dei requisiti professionali per l’esercizio dell’attività.
Ma oggi le cose sono cambiate. Dal decreto legislativo 114 del 1998 alla legge 248 del 2006 è stata rimossa dall’ordinamento tutta la disciplina in materia di registro degli esercenti il commercio2 e, di conseguenza, l’unico preposto che l’ordinamento attualmente conosce è quello definito dall’articolo 2203 del codice civile. Di conseguenza il legale rappresentante della società avrà l’obbligo di nominare un preposto institore per l’attività commerciale nel caso in cui non sia in possesso dei requisiti professionali, mentre sarà sufficiente un procuratore nel caso in cui i requisiti siano posseduti. Non viola alcuna disposizione, quindi, il soggetto che, pur non presente nell’esercizio, non affida la gestione a terzi.
Relativamente al fatto che un soggetto non possa “fare da preposto” a più imprese, l’impossibilità non deriva, quindi , dalla circostanza che nessuno può avere la possibilità di trovarsi in due o più posti nello stesso identico momento e garantire, di conseguenza, all’interno dell’esercizio commerciale un soggetto in possesso dei requisiti professionali previsti dalla legge bensì vi si oppone in senso logico, il principio codicistico del divieto di concorrenza.3

2. Le parafarmacie e i requisiti professionali per la vendita di generi alimentari

Esaminando la richiesta di una camera di commercio che si interroga sulla possibilità di dotare una parafarmacia della tabella speciale prevista per le farmacie, il Ministero afferma che il requisito professionale per la vendita di prodotti alimentari deve essere posseduto dal titolare dell’attività - sia questi il farmacista stesso o altro soggetto - soltanto nel caso in cui all’interno della parafarmacia siano posti in vendita prodotti alimentari diversi dai farmaci OTC o SOP. Questa interpretazione non può essere complessivamente condivisa.

Il comma 1 dell’articolo 5 del decreto legge 223/2006 riconvertito, con modificazioni, dalla legge 248/2006 recante “Interventi urgenti nel campo della distribuzione di farmaci” inizia con l’inciso: “Gli esercizi commerciali di cui all'articolo 4, comma 1, lettere d), e) e f), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, possono effettuare attività di vendita al pubblico …………".
In queste prime righe è disegnato l’ambito di applicazione della nuova disposizione e, implicitamente, rimosso un divieto. La norma rimuove il divieto che consentiva alle sole farmacie di porre in vendita farmaci, a qualsiasi categoria essi appartenessero, e definisce gli ambiti di applicazione della disposizione, ovvero individua le diverse tipologie di esercizi di vendita in cui oggi è consentita la commercializzazione dei farmaci: gli esercizi di vicinato, le medie e grandi strutture di vendita. In sostanza, la vendita dei farmaci può essere effettuata in tutti i negozi al minuto, qualsiasi sia la loro dimensione. Sono esclusi, in pratica, gli esercizi che commercializzano all’ingrosso, ovvero chi rivende la merce ad altri commercianti, siano essi grossisti o dettaglianti, o ad utilizzatori professionali o, ancora, ad altri utilizzatori in grande, quali: comunità, caserme e simili. E’ esclusa anche la vendita su aree pubbliche così come è esclusa la vendita mediante le cosiddette “forme speciali di vendita”, (catalogo, internet, o tv, per intenderci anche se relativamente alla vendita via Internet è intervenuta la Corte di Giustizia europea che si è espressa in senso favorevole). Allo stato attuale, comunque, in Italia, la vendita dei farmaci è esclusa anche negli spacci per i dipendenti di enti o imprese, pubblici o privati, di militari, di soci di cooperative di consumo. Ed è esclusa anche la vendita mediante distributori automatici.

L’approfondimento:
Relativamente al sistema autorizzatorio, la vendita dei prodotti farmaceutici e specialità medicinali è sempre rimasta fuori dalla disciplina generale per il commercio. Anzi, fin dalla prima legge organica, la legge 426/1971, ne era stato escluso espressamente l’ambito di applicazione, nel senso che le regole per l’esercizio dell’attività commerciale dei prodotti farmaceutici e specialità medicinali non si applicavano, per enunciata disposizione, ai farmacisti e direttori di farmacie delle quali i Comuni assumono l'impianto e l'esercizio. Il motivo di questa esclusione, come ebbe modo di rilevare la Cassazione Civile con la sentenza n. 5713 del 21 ottobre 1988, non era quella di sottrarre alla sfera della legge 426/1971 gli "articoli" in commercio che attengono alla salute in senso generico, bensì di sottrarre alla disciplina commerciale gli articoli soggetti a diverse (ed addirittura più rigorose ed intense) forme di vigilanza amministrativa che riguardano la distribuzione, all'ingrosso ed al minuto, attraverso il circuito privilegiato delle farmacie. In forza di questa interpretazione giurisprudenziale si evince che la vendita dei farmaci non rientra nella disciplina del commercio non in quanto l’attività è esercitata da un farmacista, bensì perché la vendita è effettuata all’interno di una farmacia. La conseguenza è ovvia: se la vendita dei farmaci è effettuata al di fuori delle farmacie è sottoposta alla disciplina del commercio.
Il primo comma dell’articolo 5 della legge 248/2006, che dall’inizio di luglio del 2006 consente la vendita dei farmaci anche al di fuori delle farmacie, prevede che gli esercizi commerciali possono effettuare l’attività di vendita previa comunicazione al Ministero della salute e alla regione in cui ha sede l’esercizio. A tale riguardo, nella circolare interpretativa delle nuove disposizioni emanata il 3 ottobre 2006, l’indomani dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni dal Ministero della sanità4, sono contenute due precisazioni degne di sottolineatura:
- la prima riguarda il fatto che le attività di vendita dei medicinali interessano direttamente anche l’Agenzia italiana del farmaco e, di conseguenza, è opportuno che la comunicazione inviata al Ministero sia trasmessa, in copia, anche all’Agenzia;
- la seconda, invece, affronta la questione della competenza del comune. Testualmente, la circolare riferisce che: “Poichè, inoltre, la vigilanza sulla vendita al pubblico negli esercizi commerciali, ai sensi della normativa sul commercio, è di competenza dei comuni, appare necessario, al fine di consentire l'espletamento delle relative funzioni amministrative in materia di commercio, che la comunicazione di avvio dell'attività di vendita dei farmaci sia inviata per conoscenza anche al Comune dove ha sede l'esercizio.”
Sul significato dell’inciso “al fine di consentire l’espletamento delle relative funzioni amministrative in materia di commercio” inserito all’interno della circolare, pare non porre dubbi perlomeno nei confronti dei destinatari di queste note. Al fine, tuttavia, di meglio esplicitare il ragionamento, si evidenzia l’assoggettabilità della vendita dei farmaci effettuata al di fuori delle farmacie, alla disciplina del commercio, con le conseguenze che saranno qui di seguito evidenziate.
Com’è noto, dopo la riforma Bersani del 1998 emanata in attuazione della legge 59/1997 (Bassanini 1), l’esercizio dell’attività commerciale è consentito previa comunicazione per l’apertura di un esercizio di vicinato (superficie massima mq. 250) o previo ottenimento di un’autorizzazione di vendita per gli esercizi appartenenti al medio o grande dettaglio. I prodotti posti in vendita sono suddivisi in due settori: settore alimentare e settore non alimentare. Per la vendita dei prodotti appartenenti al settore alimentare è necessario essere in possesso di particolari requisiti che il legislatore nazionale ha espressamente individuato ma che alcune regioni hanno ritenuto di diversamente identificare. Si tratta, quindi, di capire se i farmaci appartenenti alla categoria OTC o SOP sono considerati alimenti o medicinali in senso stretto e, quindi, esclusi dall’obbligo di dimostrare la professionalità in forza di quanto previsto dall’articolo 2 del Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 gennaio 2002 che fornisce la definizione di "alimento":
Ai fini del presente regolamento si intende per "alimento" (o "prodotto alimentare", o "derrata alimentare") qualsiasi sostanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito, da esseri umani.
Sono comprese le bevande, le gomme da masticare e qualsiasi sostanza, compresa l'acqua, intenzionalmente incorporata negli alimenti nel corso della loro produzione, preparazione o trattamento. Esso include l'acqua nei punti in cui i valori devono essere rispettati come stabilito all'articolo 6 della direttiva 98/83/CE e fatti salvi i requisiti delle direttive 80/778/CEE e 98/83/CE.
E ancora, al comma 3, il Regolamento comunitario individua i casi di esclusione:
Non sono compresi:
a) i mangimi;
b) gli animali vivi, a meno che siano preparati per l'immissione sul mercato ai fini del consumo umano;
c) i vegetali prima della raccolta;
d) i medicinali ai sensi delle direttive del Consiglio 65/65/CEE e 92/73/CEE;
e) i cosmetici ai sensi della direttiva 76/768/CEE del Consiglio;
f) il tabacco e i prodotti del tabacco ai sensi della direttiva 89/622/CEE del Consiglio);
g) le sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi della convenzione unica delle Nazioni Unite sugli stupefacenti del 1961 e della convenzione delle Nazioni Unite sulle sostanze psicotrope del 1971;
h) residui e contaminanti.

Con riferimento, ai “medicinali” indicati alla lettera d) si può obiettivamente escludere che i “medicinali OTC o SOP” siano alimenti ma anche non alimenti e, allora, come autorizzare l’apertura di una para-farmacia? La disciplina che ha ammesso la commercializzazione dei farmaci negli esercizi di vendita al minuto ha introdotto all’interno della disciplina commerciale un terzo genere dopo quello del settore alimentare e non alimentare. Questo fatto non comporta soltanto la ovvia conseguenza che tutta la disciplina del commercio va re-interpretata alla luce di tale nuovo elemento, ma anche che le regioni devono necessariamente intervenire adeguando la propria disciplina a questo nuovo genere. Se, peraltro, all’interno della parafarmacia, come puntualmente ha precisato il Ministero, saranno commercializzati anche prodotti alimentari in senso stretto, andrà dimostrato anche il possesso del requisito professionale per la vendita di tali prodotti non da parte del farmacista bensì dal proprietario dell’esercizio se soggetto diverso dal farmacista. Ma oggi? Quale requisito professionale può essere richiesto a garanzia del consumatore? La risposta ovvia è la professionalità conseguente alla laurea in farmacia (e la relativa iscrizione all’albo) di cui l’addetto alla vendita deve essere in possesso, ma in tal caso viene a porsi l’ulteriore problema connesso alla titolarità dell’esercizio che può essere di un soggetto non farmacista. Il dubbio iniziale quindi ritorna: ed è accentuato alla luce delle considerazioni che sono state sviluppate nell’affrontare le questioni connesse al preposto. Che ci sia, a tale proposito, un bug nell’articolo 5 della legge 248/2006, lo ha rilevato la stessa Federfarma, la Federazione italiana dei titolari di farmacie, la quale, con distinte circolari emanate quali informative delle iniziative assunte da alcune regioni, ha evidenziato la necessità di “colmare le evidenti carenze contenute nella legge Bersani che si è limitata a estendere la vendita dei farmaci agli esercizi commerciali senza preoccuparsi di disciplinare le modalità concrete con cui tale vendita deve avvenire”. Che può fare il comune nelle more di un intervento legislativo risolutore? A giudizio di chi scrive, il modo più semplice per dirimere la questione è prevedere una disposizione regolamentare con questo contenuto:

Art. x Vendita di farmaci nei locali commerciali
1. Al fine di dare attuazione all’articolo 5 della legge 248/2006, è istituito il settore “farmaci”.
2. La vendita dei farmaci al di fuori delle ipotesi di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a) del decreto legislativo 114/1998 effettuata in base all’articolo 5 della legge 248/2006 è consentita previa presentazione di comunicazione di aggiunta settore mercologico per la vendita dei prodotti compresi nel settore farmaci.
3. Il titolare dell’esercizio già autorizzato alla vendita dei prodotti alimentari è legittimato alla vendita dei farmaci, previa comunicazione di cui al comma 2;
4. Il titolare dell’esercizio già autorizzato alla vendita dei prodotti non alimentari è legittimato alla vendita dei farmaci, previa comunicazione di cui al comma 2 e dimostrazione del possesso della laurea in farmacia o dei requisiti professionali per la vendita dei prodotti alimentari
5. Permane l’obbligo di cui all’articolo 5, comma 2, il quale prevede che l’attività di vendita è effettuata con l'assistenza di uno o più farmacisti abilitati all'esercizio della professione ed iscritti al relativo ordine

Il motivo di questo indirizzo è legato al fatto che il titolare dell’esercizio non può essere considerato estraneo alle responsabilità conseguenti alla vendita di prodotti “speciali” in forza soprattutto del fatto che le funzioni assegnate al farmacista dal d.l. 223/2006 sono esclusivamente di assistenza al cliente e non di gestione dell’esercizio, neppure per la parte relativa al reparto dei farmaci.

(1 – continua)

___________________________________________________

1 - La risposta del Ministero al quesito della camera di commercio è disponibile all’indirizzo http://www.sviluppoeconomico.gov.it/pdf_upload/documenti/phpcaIcR0.pdf 

2 - Si veda, a tale proposito, l’articolo 3, comma 3 della legge Legge 4 agosto 2006, n. 248

3 - Un approfondimento sul divieto di concorrenza è disponibile all’indirizzo http://antexnews.b2blavoro.com/commento/Cod-759.html

4 - Il testo della circolare è disponibile all’indirizzo http://www.sportello-online.it/inc/bersani/docs/circolare_farmaci.pdf

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