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La vendita e la somministrazione degli alcolici
Marilisa Bombi e Francesco Donolato
Scarica il pdf Anche nei negozi tradizionali e nei supermercati, oltre che in
bar e discoteche, è
vietata la vendita di bevande alcoliche ai minori di anni 16?
L’interrogativo è più che
legittimo, tenuto conto che il divieto stesso non è rispettato,
in quanto il più delle volte è
ritenuto inesistente. Tuttavia, poiché per punire questo reato
non è necessario che la
condotta sia caratterizzata dal dolo, ovvero dalla
consapevolezza di violare la legge, bensì
è sufficiente la colpa, si ritiene utile prelevare dallo
scaffale delle leggi i vecchi tomi e
sistematizzare le norme che nel tempo si sono stratificate. Ciò
al fine di ribadire l’obbligo
e dare, quindi, senso logico a quella disposizione del codice
penale(nota 1) che punisce
L'esercente un'osteria o un altro pubblico spaccio di cibi o di
bevande, il quale somministra, in un luogo
pubblico o aperto al pubblico, bevande alcooliche a un minore
degli anni sedici, o a persona che appaia
affetta da malattia di mente, o che si trovi in manifeste
condizioni di deficienza psichica a causa di
un'altra infermità, è punito con l'arresto fino a un anno.
Se dal fatto deriva l'ubriachezza, la pena è aumentata.
La condanna importa la sospensione dall'esercizio.
Le previsioni del tulps
Insomma, al di fuori di ogni eufemismo, sarebbe ben sciocco quel
legislatore che
punisce colui il quale cede al minore il boccale di birra, ma
lascia impunito il negoziante
che allo stesso minore vende il fustino da cinque litri, come va
di moda da un po’ di
tempo in qua. Ed, infatti, così non è.
Scopo di queste note è dimostrare come l’antinomia, peraltro
paradossale, diffatto non
esiste e come l’interprete (che pensa il contrario) sia caduto
in errore a causa del mutato
significato che nel tempo è stato attribuito ad alcuni termini
presenti nelle diverse
disposizioni. La spia, che fosse necessario approfondire la
questione, si è accesa dopo
aver riletto per l’ennesima volta l’articolo 87 del tulps, il
quale dispone che
E’ vietata la vendita ambulante di bevande alcooliche di
qualsiasi gradazione.
Anche relativamente a questa imposizione sarebbe utile
soffermarsi, tenuto conto che la
legge sul commercio ambulante è stata da parecchio tempo ormai
sostituita dalla
disciplina per il commercio su aree pubbliche che equipara,
sotto diversi aspetti, le due
forme di commercio che si rivolgono al consumatore finale, con
l’unica differenza che in
un caso l’attività è esercitata su area privata mentre
nell’altro l’attività è esercitata su area
pubblica.(nota 2) Esiste un’ulteriore modalità di esercitare il
commercio su area pubblica ed è
quella in forma itinerante. E’ a questa che, evidentemente, il
legislatore aveva fatto
riferimento al tempo in cui la norma del tulps era stata
scritta, per l’ovvia impossibilità di
tenere sotto controllo l’attività di un’impresa,
eufemisticamente parlando, senza fissa
dimora.
L’ assioma che consegue dalla lettura della sopraindicata
disposizione è banale: se il
commercio ambulante è vietato dall’articolo 87 del tulps, ci
sarà qualche disposizione che
autorizza il commercio lecito in sede fissa (ovvero nei negozi)
ed, infatti, la vendita degli
alcolici è consentita dall’articolo 86 (nota 3) il quale, espressamente,
ai commi primo e secondo,
prevede che:
Non possono esercitarsi, senza licenza del Questore, alberghi,
compresi quelli diurni, locande, pensioni,
trattorie, osterie, caffè o altri esercizi in cui si vendono al
minuto o si consumano vino, birra, liquori od
altre bevande anche non alcooliche, né sale pubbliche per
bigliardi o per altri giuochi leciti o stabilimenti
di bagni, esercizi di rimessa di autoveicoli o di vetture,
ovvero locali di stallaggio e simili.
La licenza è necessaria anche per lo spaccio al minuto o il
consumo di vino, di birra o di qualsiasi
bevanda alcolica presso enti collettivi o circoli privati di
qualunque specie, anche se la vendita o il
consumo siano limitati ai soli soci.
“Per la vendita ambulante di bevande alcoliche non è previsto
alcun tipo di
autorizzazione amministrativa”, precisa la Cassazione penale,
sez. V, con una sentenza
del 28 ottobre 1993 “perché l´art. 87 t.u. leggi di pubblica
sicurezza vieta in modo
assoluto la vendita ambulante di bevande alcoliche di qualsiasi
gradazione e non può
ritenersi abrogato dal combinato disposto degli art. 9 legge n.
689 del 1981 e 1, 2 e 6
della legge n. 112 del 1991, sicché il commercio in questione è
sanzionato tuttora dall´art.
686 c.p.”
E già dieci anni prima, il Consiglio Stato, sez. V, con sentenza
del 29 maggio 1984 , n.
407 aveva chiarito che “Il rispetto della distanza minima di 100
m rispetto ad altro
esercizio di somministrazione di bevande alcoliche (art. 86,
r.d. 18 giugno 1931 n. 773)
riguarda anche gli esercizi nei quali dette bevande -
confezionate dal titolare di esercizio
commerciale di altra natura - vengano offerte gratuitamente al
pubblico a titolo
promozionale e pubblicitario.
Ma il tulps, e ben lo sanno gli operatori pubblici, non
esaurisce la disciplina nel settore
della pubblica sicurezza, ed oggi, di polizia amministrativa.
Infatti, la disciplina primaria è
integrata dal "Regolamento per l'esecuzione del testo unico 18
giugno 1931, n. 773 delle
Leggi di Pubblica Sicurezza" approvato con regio decreto 6
maggio 1940, n. 635 e, per la
parte che qui riguarda modificato dall’articolo 7 della legge 11
maggio 1981 n. 213.
Specificatamente, ed è su questa norma che ci si intende
soffermare, l’articolo 176
dispone che:
Agli effetti dell'art. 86 della Legge, non si considera vendita
al minuto di bevande alcoliche quella fatta
in recipienti chiusi secondo le consuetudini commerciali, e da
trasportarsi fuori del locale di vendita,
purché la quantità contenuta nei singoli recipienti non sia
inferiore a litri 0,200 per le bevande alcoliche
di cui all'art. 89 della Legge, ed a litri 0,33 per le altre.
Per le bevande non alcoliche, è considerata vendita al minuto
esclusivamente quella congiunta al consumo.
I sopraindicati limiti sono stati modificati, rispetto alla originaria
formulazione, con la legge 11 maggio 1981 n. 213 (nota 4). Il limite di litri 0,200 per i
superalcolici e per gli alcolici di
330 cc originariamente era rispettivamente di mezzo litro e di
due terzi di litro.
L’ inciso “vendita al minuto” riportato al primo comma
dell’articolo 86 del tulps e
dell’articolo 176 del regolamento tulps, non deve, tuttavia,
indurre in inganno. Infatti,
solo in epoca più recente il legislatore nazionale ha attribuito
a questo sintagma un
significato tecnico diverso dal passato, per distinguerlo da
“vendita all’ingrosso”. In
origine, il significato da attribuire alla “vendita al minuto”
utilizzato dal legislatore, è dato
dal secondo comma dell’articolo 176 del regolamento tulps, il
quale associa la vendita al
minuto a quella destinata al consumo sul posto. Il “consumo sul
posto”, se sussistono
particolari condizioni, oggi è definito “somministrazione”, ma
relativamente a questo
termine ci si soffermerà tra breve.
Dall’analisi delle sopraindicate disposizioni risulta chiaro che
il consumo sul posto o la
vendita al minuto di bevande alcoliche o superalcoliche in
contenitori entro i limiti fissati
dall’articolo 176 del tulps è legittimo se autorizzato con
licenza prevista dall’articolo 86
del tulps rilasciata dal questore.(nota 5) La vendita, invece, di
bevande alcoliche e superalcoliche
in contenitori con capacità superiore, se non consumata sul
posto, è autorizzata dal
Comune con la licenza, si può dire, di natura commerciale. Non è
consentita, invece, mai
la vendita ambulante degli alcolici a prescindere dalla quantità
del recipiente, tenuto
conto che il già richiamato articolo 87 vieta la vendita
ambulante di bevande alcooliche
di qualsiasi gradazione senza alcun riferimento alla vendita “al
minuto”.
In pratica, “ ….. la ratio che presiede alle disposizioni
relative agli esercizi pubblici è
quella di rendere agevoli e pieni il controllo e la vigilanza
dell’autorità per il
mantenimento dell’ordine pubblico e per la tutela della salute
pubblica e, nel campo della
vendita o del consumo delle bevande alcoliche, la ratio consiste nelle misure di
prevenzione da adottarsi nella lotta all’alcolismo”.(nota 6)
Da ciò ne consegue che anche i negozi tradizionali se pongono in
vendita bevande
alcoliche con il contenuto indicato all’articolo 176 del tulps,
o ne consentono il consumo
sul posto dovrebbero munirsi della speciale licenza prevista
dall’articolo 86 del tulps
anche se “riguardo alla vendita di bevande alcoliche in
recipienti ermeticamente chiusi,
consentita con licenza del sindaco, il Ministero dell’interno,
sentiti i dicasteri della sanità,
delle finanze e dell’industria e del commercio, ha stabilito
che, nei negozi autorizzati
dalla menzionata autorità comunale, può effettuarsi anche la
vendita, per asporto, di
birra in bottiglie che portino una dichiarazione di capacità
nominale di cl. 65”(nota 7) e, quindi,
al di sotto dei limiti previsti dal più volte ricordato articolo
176 del regolamento tulps.
La vendita al minuto (ovvero in recipienti dal contenuto inferiore a 0,200 e
0,33 rispettivamente per i superalcolici e gli alcolici) per l’asporto o il
consumo sul posto è
soggetta, quindi, all’articolo 86 del tulps e l’esercizio
abusivo dell’attività è punito oggi
dall’articolo 17 bis, comma primo, del tulps(nota 8). La vendita di
bevande alcoliche e
superalcoliche in contenitori maggiori (e di ogni altro alimento
o bevanda) è assentita
dall’autorizzazione comunale prevista dal decreto legislativo
114/1998 o dalla rispettiva
legge regionale.(nota 9) Distinguendo i vari prodotti e le necessarie
cautele che ogni articolo
presupponeva, originariamente il legislatore aveva fatta salva
la vigenza del tulps (o delle
altre specifiche disposizioni) ed, infatti, la legge 426 del
1971 (abrogata, poi, dal decreto
legislativo 114/1998) escludeva dalla sua applicazione le
attività regolamentate da altra
specifica disciplina (nota 10) e, nel caso in esame, la vendita di
bevande alcoliche in contenitori
aventi le già richiamate caratteristiche di litri 0,200 e litri
0,33. Così non è stato, invece,
per il decreto legislativo 114 del 1998 che ha espressamente
individuato l’ambito di
esclusione della normativa nulla dicendo riguardo la vendita
degli alcolici. Si può ritenere,
quindi, che la vendita per asporto delle bevande alcoliche e i
superalcolici sia oggi
soggetta esclusivamente al decreto legislativo 114/1998 o alla
rispettiva legge regionale.
Nel frattempo, anche il concetto di “vendita (o commercio) al
minuto” ha mutato
significato ed oggi (nota 11) ha, all’interno dell’ articolo 4 del
decreto legislativo 114/1998 la sua
puntuale definizione:
1. Ai fini del presente decreto si intendono:
a) per commercio all'ingrosso, l'attività svolta da chiunque
professionalmente acquista merci in nome e
per conto proprio e le rivende ad altri commercianti,
all'ingrosso o al dettaglio, o ad utilizzatori
professionali, o ad altri utilizzatori in grande. Tale attività
può assumere la forma di commercio interno,
di importazione o di esportazione;
b) per commercio al dettaglio, l'attività svolta da chiunque
professionalmente acquista merci in nome e
per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o
mediante altre forme di distribuzione,
direttamente al consumatore finale;
Somministrazione e vendita
A rendere più complesso il quadro di riferimento è intervenuta,
nel 1974, la legge 14
ottobre 1974 n. 524 (Modifica alla disciplina degli esercizi
pubblici di vendita e consumo
di alimenti e bevande). Tale legge, per la parte che riguarda
queste note, per la prima
volta, introduce all’interno del corpo normativo un nuovo
termine: somministrazione.
Lo fa all’interno dell’articolo 2, il quale dispone che:
Per il rilascio di nuove licenze, anche stagionali, concernenti
l'attività di somministrazione al pubblico di
alimenti e bevande, disciplinata nel capo II del testo unico
delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con
regio decreto 18 luglio 1931,n. 773, e nel relativo regolamento
di esecuzione,i comuni,nel quadro dei
principi generali fissati dalla legge 11 giugno 1971, n. 426, e
tenuto conto degli esercizi già in attività,
predispongono,mediante approvazione di appositi piani,il limite
massimo in termini di superficie globale
degli esercizi pubblici in cui si esplica tale attività.
Interpreti hanno cercato, a suo tempo, di attribuire significato
alla locuzione
“somministrazione al pubblico di alimenti e bevande” inserita
all’interno della legge 524
del 1974, che aveva esteso anche ai pubblici esercizi la
necessità di prevedere criteri di
programmazione per l’apertura di nuovi esercizi, affermando che
sta ad indicare (nota 12),
“operazioni ed atti …. diversi dalle iniziative concernenti la
vendita al minuto di merci in
genere. I vocaboli somministrare e vendere, da cui si originano
le voci somministrazione
e vendita, differiscono, etimologicamente: il primo significa
dare agli altri ciò che è
necessario e anche fornire, servire, porgere, dare una cosa, il
secondo è nel senso di una
trasmissione ad altri della proprietà di una cosa ricevendone il
prezzo.”(nota 13) Ma questa
distinzione, chiaramente espunta dal codice civile non pare
molto convincente, ed anzi
potrebbe trarre in errore l’interprete, dal momento in cui anche
la somministrazione
presuppone un prezzo da versare e non ha quei caratteri della
continuità ai quali il codice
civile riconduce; insomma sembra più convincente il parallelismo
con il consumo sul
posto.
Il successivo passo in avanti sul cammino della esemplificazione
del termine è stato
compiuto dalla legge 25 agosto 1991, n. 287 (Aggiornamento della
normativa
sull'insediamento e sull'attività dei pubblici esercizi) che a
tutt’oggi regola l’apertura dei
locali pubblici siano essi pub, pizzerie, bar o ristoranti.
Infatti, l’articolo uno, al comma
uno, della legge, dà puntuale definizione al vocabolo:
Per somministrazione si intende la vendita per il consumo sul
posto, che comprende tutti i casi in cui gli
acquirenti consumano i prodotti nei locali dell'esercizio o in
una superficie aperta al pubblico, all'uopo
attrezzati.
Insomma, una definizione diversa da quella “vendita al minuto”
prevista dal tulps dal
combinato disposto dell’articolo 86 e dall’articolo 176 del
relativo regolamento. Oggi, in
pratica, la somministrazione è caratterizzata delle attrezzature
messe a disposizione del
cliente/consumatore per il consumo sul posto nei locali
dell’esercizio o in altra area
aperta al pubblico. Insomma, un quid pluris rispetto al
passato.
Allo stato attuale si può affermare, quindi, che riguardo agli alimenti e alle
bevande risultano previste, all’interno dell’ordinamento, due distinte
discipline: la legge 287/1991 (che ha sostituito la legge 524/1974 e che a sua
volta molte regioni dopo la novella del titolo V Cost. hanno rielaborato fatti
salvi i principi fondamentali) che regola l’attività di somministrazione, ovvero
il consumo sul posto adeguatamente attrezzato e il decreto legislativo 114/1998
(che ha sostituito la legge 426/1971 e che, pure, molte regioni hanno
revisionato) che regola l’attività di commercio al minuto. Su queste discipline
ci si può chiedere, oggi, se soprintende ancora il testo unico di pubblica
sicurezza che, per quanto riguarda le bevande alcoliche e i superalcolici,
individua espressamente, all’articolo 86 (nota 14) e all’articolo 176 del relativo regolamento,
l’ambito di applicabilità con
riferimento sia al consumo sul posto che alla vendita se
effettuata nei recipienti di 0,200
e 0,33 rispettivamente per gli alcolici e i superalcolici. Il
dubbio sorge dal fatto che il
decreto legislativo 114 del 1998 elenca, specificatamente, le
attività commerciali escluse
dal suo ambito (nota 15) ma, contrariamente a quanto aveva fatto la
legge 426/1971, non fa
salve le eventuali normative di settore. In pratica, il decreto
legislativo 114/1998 si pone
come “la legge” per il settore del commercio.
Tra l’altro, successivamente al 1974, essendo cadute (si
riteneva) le ragioni di contrasto
dell’alcolismo, il legislatore ha cambiato l’impostazione della
disciplina relativa ai pubblici
esercizi e, da normativa orientata alla repressione
all’alcolismo, si è passati a disciplina a
carattere economico programmatorio, come un paio di anni prima
era stato fatto per le
attività commerciali. Inoltre, su questo specifico argomento,
con l’articolo 23, quarto
comma del dm 28 aprile 1976, è stato scritto un nuovo capitolo.
Con tale disposizione,
infatti, è stata estesa anche agli esercizi pubblici (quelli
muniti della autorizzazione
prevista dall’articolo 86 del tulps e dalla legge 524 del 1971) la possibilità
di vendere bevande alcoliche e superalcoliche senza l’obbligo della licenza per
l’attività di vendita, a prescindere dai vincoli imposti dall’articolo 176 del
regolamento. In sostanza, nei bar e
ristoranti si poteva (e si può) effettuare congiuntamente
l’attività di somministrazione
(consumo sul posto) e l’attività commerciale (vendita per
asporto).
Oggi, questa facoltà è prevista dalla legge 287/1991. Infatti,
l’articolo 5, al comma 4,
dispone che:
4. Gli esercizi di cui al presente articolo hanno facoltà di
vendere per asporto le bevande ………... In
ogni caso l'attività di vendita è sottoposta alle stesse norme
osservate negli esercizi di vendita al minuto.
Riepilogando, in conseguenza alle successive modifiche, nei
pubblici esercizi per la
somministrazione di alimenti e bevande è consentito
somministrare (ovvero consumare
in luoghi attrezzati) e vendere, per asporto, le bevande di
qualsiasi gradazione alcolica
esse siano, mentre gli esercizi commerciali sprovvisti di
autorizzazione per l’attività di
somministrazione, possono (o meglio potevano per le ragioni di
cui si dirà più sotto)
soltanto vendere per asporto le bevande e non somministrarle.
Non si ritiene, per effetto
della mancanza di qualsiasi riferimento contenuto nella
disciplina commerciale, che
sussista ancora l’obbligo per i titolari dei negozi che
intendono porre in vendita bevande
in recipienti dal contenuto inferiore a un terzo e un quinto di
litro, (0.33 e 0.20)
rispettivamente per gli alcolici e i superalcolici, di munirsi
della licenza prevista
dall’articolo 86 del tulps che era, invece, originariamente
necessaria come risulta dalla già
indicata circolare ministeriale n. 10.4053/12000.
Ma c’è di più. Si è chiarito che oggi i bar, ristoranti, pizzerie, pub, negozi e
supermercati possono vendere di tutto: dalla lattina di birra alla mignon di
liquore, dalla damigiana di vino al fusto di birra, senza alcun vincolo Insomma,
il quantitativo non rileva giuridicamente. L’unica distinzione tra esercizi
pubblici (in senso stretto) e negozi al minuto (nota 16) è che
i primi mettono al servizio del consumatore, strutture ed attrezzature per il
consumo sul posto (nota 17). Tra l’altro, questa distinzione è
stata fortemente mitigata da due diverse leggi: la legge 25 marzo 1997, n. 77
(Disposizioni in materia di commercio e di camere di commercio) che,
all’articolo 4 (nota 18) , introduce la facoltà per i negozi
di vendere, per il consumo immediato (utilizzando i buoni pasto), alimenti e
bevande, e la legge
248/2006 (prima lenzuolata Bersani) che, per la previsione
contenuta all’articolo 3,
consente il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso
l'esercizio di
vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con
l'esclusione del servizio assistito
di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni
igienico-sanitarie. Insomma, se
la somministrazione (in senso stretto ovvero quella disciplinata
dalla legge 287/1991)
originariamente esigeva un quid pluris, rispetto al
commercio al minuto di alimenti e
bevande, costituito dall’ allestimento di spazi e strutture che
consentano all'acquirente di
consumare in loco i prodotti stessi, oggi questa
distinzione non rileva più tenuto conto
che anche i negozi al minuto consentono il consumo sul posto di
“alimenti e bevande “
(all’interno del servizio sostitutivo di mensa) e il consumo sul
posto di “prodotti di
gastronomia” per effetto della legge 248/2006.
La somministrazione sanzionata dal codice penale
Il codice, all'art. 689, persegue il fine immediato di tutelare
persone che per l'immaturità
o per condizioni psicopatologiche mancano della potestà di
autogoverno oltre a voler
prevenire l'alcolismo quale causa di degenerazione individuale o
sociale e di criminalità.(nota 19)
L’articolo 689 c.p (nota 20) non fa alcun rinvio a quella vendita al
minuto e al consumo sul
posto utilizzati espressamente dall’articolo 86 del tulps che,
com’è noto, è stato
revisionato dopo la stesura del codice penale, proprio al fine
di sistematizzarne i
contenuti. Né fa alcun riferimento alla vendita per asporto
degli alcolici, secondo il
significato che più sopra è stato esaminato in relazione
all’articolo 176 del regolamento
tulps. La rubrica dell’articolo 689 del codice penale recita,
infatti: “Somministrazione di
bevande alcooliche a minori o a infermi di mente”
e dispone che:
“L'esercente un'osteria o un altro pubblico spaccio di cibi o di
bevande, il quale somministra, in un luogo
pubblico o aperto al pubblico, bevande alcooliche a un minore
degli anni sedici, o a persona che appaia
affetta da malattia di mente, o che si trovi in manifeste
condizioni di deficienza psichica a causa di
un'altra infermità, è punito con l'arresto fino a un anno”.
Interpretare oggi la norma penale non è facile tenuto conto dell’evoluzione
della terminologia che il legislatore ha via via utilizzato. E’ d’aiuto, sotto
questo punto di vista, individuare con precisione il bene giuridico che il
legislatore, all’epoca, intendeva tutelare: la prevenzione all’alcolismo come
causa di degenerazione individuale e sociale e di delinquenza. (nota
21) Certamente, comunque, non si può ritenere, al di là di ogni ragionevole
dubbio, che il significato di “somministrazione” utilizzato nel
1930 nel codice penale
possa essere lo stesso che è stato utilizzato 44 anni dopo,
nella legge 524 del 1974 che
aveva come fine quello di programmare l’apertura di nuovi
esercizi pubblici, e che ha
abrogato esplicitamente la disciplina contenuta nel tulps posta
originariamente,
nell’ordinamento, proprio al fine di contrastare la piaga
dell’alcolismo attraverso l’attività
di vigilanza sul consumo e vendita delle bevande alcoliche.(nota 22)
Ritornando, quindi, all’articolo 689 del codice penale, diventa
fondamentale capire a che
cosa intendeva riferirsi il legislatore, nel momento in cui ha
inteso sanzionare l’attività di
somministrazione ai minori di anni 16, ovvero diventa
fondamentale capire se si deve
intendere esclusivamente la vendita per il consumo immediato o
sul posto (che ormai è
consentita come si è visto sia negli esercizi pubblici che nei
negozi) o anche la vendita
per asporto; la vendita effettuata all’interno dei pubblici
esercizi o anche quella nei
negozi. Insomma, se il fine della disposizione era (ed è
certamente ancora oggi) la lotta
all’alcolismo, va ricercato il comportamento che, allora, il
legislatore intendeva punire per
non privare di senso logico la disposizione proprio oggi che,
come si è visto, l’unica
differenza tra negozi e bar, a volte, è solo il servizio al
tavolo.
L’azione penalmente punita è “il somministrare” cioè dare,
offrire dietro corrispettivo o
anche gratuitamente. Secondo autorevole dottrina (nota 23), “poiché il
pericolo sorge col rendere
possibili gli effetti dell’uso di alcolici, che riesce dannoso
specialmente alle persone (qui)
considerate, la legge adopera l’espressione lata di
somministrare anziché quella di
vendere, rimanendo indifferente l’indagine a qual titolo e per
quale scopo la
somministrazione venga fatta. Né occorre che la bevanda sia
consumata, bastando che
sia messa a disposizione e sia ricevuta dal destinatario”.
Insomma il legislatore ha fatto
un uso atecnico del termine proprio al fine di non vanificare il
fine della norma e di
nessun aiuto è, a tale proposito, la definizione di
somministrazione fornita dal codice
civile. (nota 24)
In sostanza, il somministrare in senso lato ha portato ad
interpretare il termine in senso
stretto restringendo, quindi, la portata della disposizione con
le conseguenze agli occhi di
tutti. E dire che già Manzini, nel suo trattato, aveva
evidenziato come il legislatore non
“restringe la sua previsione agli spacci in cui si vendono o si
consumano bevande
alcoliche, ma la estende anche agli spacci di bevande o di
cibi (nota 25), a differenza dell’articolo
234, e come l’articolo 625, n.6” che parlano espressamente di
spacci di bevande
alcoliche. “Di conseguenza, puntualizza Manzini, la contravvenzione è imputabile
anche all’esercente codesti spacci, quando, sia pure eccezionalmente rispetto a
ciò che nel suo esercizio normalmente si vende, abbia commesso il fatto
contemplato nell’articolo 689”.
Fortunatamente il requisito professionale per l’attività di
vendita di prodotti alimentari e
per l’attività di somministrazione (in senso stretto) di
alimenti e bevande esiste ancora e
quindi un buon corso di aggiornamento su questo argomento è
d’obbligo. Alle camere di
commercio, ai CAT e alle associazioni di categoria, dunque,
oggi, l’ingrato compito di
riordinare le carte per giocare una nuova partita nel rispetto
delle regole e reprimere un
fenomeno che sta dilagando. Dopotutto “somministrare bevande
alcoliche significa
fornire tali bevande a una persona perché le consumi bevendole e
non occorre però che
la bevanda sia effettivamente ingerita, bastando che essa sia
posta a disposizione della
persona.” (nota 26) Di conseguenza, non c’è differenza alcuna tra il
mettere a disposizione del
cliente minore di sedici anni la bevanda alcolica in bar o nel
negozio. Questo si afferma
nel divieto posto dall’articolo 689 cp. e tale divieto non è
stato mai rimosso
dall’ordinamento. 10 luglio 2008
note:
-
Il riferimento è
all’articolo 689 del c.p.
-
Tra l’altro, le
due diverse forme di commercio che originariamente erano disciplinate in due
corpi normativi diversi, la legge 426/1971 per il commercio in area
privata, la legge 398/1976 per il commercio ambulante sostituita poi dalla
legge 112/1991, sono confluite ambedue nel decreto legislativo 114/1998.
-
Di fatto, questo articolo è sempre stato considerato come base
giuridica per l’apertura di un esercizio pubblico e non,
anche, per la mera vendita di bevande alcoliche. Invece la
licenza prevista dall’articolo 86 del tulps legittimava, nel passato, la
vendita di alcolici sfusi o, comunque, in recipienti di limitato
contenuto. L’articolo 89 rendeva obbligatoria una speciale
licenza per la vendita dei superalcolici.
-
Si tratta della legge la cui rubrica recita Modificazione al
regime fiscale degli spirit. La legge è stata pubblicata nella Gazz.
Uff. 18 maggio 1981, n. 134.
-
E’ ben noto che la competenza al rilascio delle licenze
previste dall’articolo 86 del tulps è competenza del sindaco fin dal
dpr 616/1977, ma si ritiene di lasciare il riferimento al
questore per chiarire nei termini più chiari la problematica.
-
In tal senso N.DE RUBERTIS La legislazione di pubblica
sicurezza. Firenze 1987 pag. 570
-
Il riferimento alla circolare della direzione generale deella
PS 10 novembre 1970 n. 10.4053.12000 è in DE RUBERTIS op. cit. pag. 571.
-
L’art. 17 bis del tulps dispone, al primo comma, che “Le
violazioni alle disposizioni di cui agli articoli 59, 60, 75, 75-bis, 76,
se il fatto è commesso contro il divieto dell'autorità, 86, 87,
101, 104, 111, 115, 120, comma secondo, limitatamente alle
operazioni diverse da quelle indicate nella tabella, 121, 124 e
135, comma quinto, limitatamente alle operazioni diverse da
quelle indicate nella tabella, sono soggette alla sanzione
amministrativa del pagamento di una somma da € 516,00 a €
3098,00.”
-
Originariamente l’attività commerciale era disciplinata dal
regio decreto-legge 16 novembre 1926,n. 2174, convertito in
legge 18 dicembre 1927. Successivamente, questa disciplina è
stata sostituita dalla legge 426 del 1971 che, a sua volta, è stata
abrogata dal decreto legislativo 114/1998.
-
Si veda, a tale riguardo, l. ’articolo 45 n. 7 della legge
426/1971.
-
A dire il vero già con la legge 426/1971 era stata
introdotta, all’articolo 1, la seguente definizione: “l'attività di commercio
al minuto, (è esercitata da) chiunque professionalmente acquista
merci a nome e per conto proprio e le rivende, in sede
fissa,o mediante altre forme di distribuzione,direttamente al
consumatore finale”
-
La legge di riferimento è oggi la n. 287/1991
-
N. DE RUBERTIS op. cit. pag. 529
-
Tra l’altro, Gianfranco Cardosi nella rivista Commercio e
servizi ed. Maggioli, n. 3/2007, pag. 17, sostiene l’implicita
abrogazione delle norme del tulps per l’attività di
somministrazione, essendo quest’ultima ormai organicamente e
completamente disciplinata dalla legge 287 del 1991.
-
L’elencazione degli ambiti esclusi dalla disciplina meramente
commerciale sono contenuti nell’articolo 4, comma 2 del d.lgs 114/1998 e sono:
a) ai farmacisti e ai direttori di farmacie delle quali i comuni
assumono l'impianto e l'esercizio ai sensi della legge 2 aprile
1968, n. 475, e successive modificazioni, e della legge 8
novembre 1991, n. 362, e successive modificazioni, qualora vendano
esclusivamente prodotti farmaceutici, specialità medicinali,
dispositivi medici e presidi medico-chirurgici;
b) ai titolari di rivendite di generi di monopolio qualora
vendano esclusivamente generi di monopolio di cui alla legge 22
dicembre 1957, n. 1293, e successive modificazioni, e al
relativo regolamento di esecuzione, approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 14 ottobre 1958, n. 1074, e
successive modificazioni;
c) alle associazioni dei produttori ortofrutticoli costituite ai
sensi della legge 27 luglio 1967, n. 622, e successive
modificazioni;
d) ai produttori agricoli, singoli o associati, i quali
esercitino attività di vendita di prodotti agricoli nei limiti di cui
all'articolo
2135 del codice civile, alla legge 25 marzo 1959, n. 125, e
successive modificazioni, e alla legge 9 febbraio 1963, n. 59, e
successive modificazioni;
e) alle vendite di carburanti nonché degli oli minerali di cui
all'articolo 1 del regolamento approvato con regio decreto 20
luglio 1934, n. 1303, e successive modificazioni. Per vendita di
carburanti si intende la vendita dei prodotti per uso di
autotrazione, compresi i lubrificanti, effettuata negli impianti
di distribuzione automatica di cui all'articolo 16 del decretolegge
26 ottobre 1970, n. 745, convertito, con modificazioni, dalla
legge 18 dicembre 1970, n. 1034, e successive
modificazioni, e al decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32;
f) agli artigiani iscritti nell'albo di cui all'articolo 5,
primo comma, della legge 8 agosto 1985, n. 443, per la vendita nei locali di
produzione o nei locali a questi adiacenti dei beni di
produzione propria, ovvero per la fornitura al committente dei beni
accessori all'esecuzione delle opere o alla prestazione del
servizio;
g) ai pescatori e alle cooperative di pescatori, nonché ai
cacciatori, singoli o associati, che vendano al pubblico, al dettaglio, la
cacciagione e i prodotti ittici provenienti esclusivamente
dall'esercizio della loro attività e a coloro che esercitano la vendita
dei prodotti da essi direttamente e legalmente raccolti su
terreni soggetti ad usi civici nell'esercizio dei diritti di erbatico, di
fungatico e di diritti similari; h) a chi venda o esponga per la vendita le
proprie opere d'arte, nonché quelle dell'ingegno a carattere creativo,
comprese le proprie pubblicazioni di natura scientifica od informativa,
realizzate anche mediante supporto informatico; i) alla vendita dei beni del
fallimento effettuata ai sensi dell'articolo 106 delle disposizioni
approvate con regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive
modificazioni; l) all'attività' di vendita effettuata durante il periodo di
svolgimento delle fiere campionarie e delle mostre di prodotti nei confronti
dei visitatori, purché riguardi le sole merci oggetto delle manifestazioni e
non duri oltre il periodo di svolgimento delle manifestazioni stesse; m)
agli enti pubblici ovvero alle persone giuridiche private alle quali
partecipano lo Stato o enti territoriali che vendano pubblicazioni o altro
materiale informativo, anche su supporto informatico, di propria o altrui
elaborazione, concernenti l'oggetto della loro attivata.
-
Come si è chiarito oggi per negozio al minuto non si intende
più la minuta vendita alla quale faceva riferimento, con riguardo agli
alcolici, l’articolo 86 del tulps, bensì rileva la
distinzione tra vendita l minuto e vendita all’ingrosso, nel senso
che la nella vendita al minuto il destinatario finale,
l’acquirente, è il consumatore finale, mentre nel commercio all’ingrosso,
l’acquirente è l’utilizzatore professionale o altro soggetto
individuato espressamente dall’articolo 4 del d.lgs 114/1998,
ovvero altri commercianti, all'ingrosso o al dettaglio o ad
altri utilizzatori in grande.
-
Interessante, relativamente a questo aspetto, la sentenza
Cassazione civile , sez. I, 19 maggio 2006 , n. 11845, la cui
massima precisa che la vendita al dettaglio di prodotti
alimentari per mezzo di apparecchi automatici, la quale, a norma
dell'art. 17 del d.lg. n. 114 del 1998, che la disciplina, è
soggetta (come quella di ogni altro prodotto) è soggetta ad apposita
comunicazione al comune competente per territorio, si distingue
dalla somministrazione di alimenti e bevande a mezzo dei
predetti apparecchi, regolata dall'art. 1 della legge n. 287 del
1991, che, al comma 1, ne definisce l'ambito, richiedendo
rispetto al commercio al minuto un quid pluris, costituito dalla predisposizione
di spazi e strutture che consentano all'acquirente di consumare in loco i
prodotti stessi, e, al comma 2, estende la operatività della legge stessa
anche con riguardo alla somministrazione effettuata con distributori
automatici in locali esclusivamente adibiti a tale attività. Nelle ipotesi
contemplate dalla citata legge n. 287 del 1991, la vendita attraverso
apparecchiature automatiche costituisce solo una modalità di consegna del
prodotto per il consumo in loco diversa da quella della consegna al banco,
e, pertanto, essa rientra nell'attività di somministrazione di alimenti e
bevande già autorizzata al momento dell'apertura dell'esercizio pubblico,
con la conseguente esclusione dell'obbligo di apposita comunicazione al
Comune, cui la legge n. 287 del 1991 non fa alcun riferimento.
-
L’articolo 4 Servizi sostitutivi di mensa della legge 77/1997
dispone che: 1. Per servizi sostitutivi di mensa resi a mezzo dei buoni
pasto di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 3
marzo 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 66 del 21 marzo 1994,
devono intendersi le somministrazioni di alimenti e bevande effettuate dai
pubblici esercizi, nonché le cessioni di prodotti di gastronomia pronti per
il consumo immediato effettuate da mense aziendali, interaziendali,
rosticcerie e gastronomie artigianali, pubblici esercizi e dagli esercizi
commerciali muniti dell'autorizzazione di cui all'articolo 24 della legge 11
giugno 1971, n. 426 , per la vendita dei generi compresi nella tabella I
dell'allegato 5 al decreto 4 agosto 1988, n. 375 , del Ministro
dell'industria, del commercio e dell'artigianato nonché dell'autorizzazione
di cui all'articolo 2 della legge 30 aprile 1962, n. 283 , per la
produzione, preparazione e vendita al pubblico di generi alimentari, anche
su area pubblica, e operate dietro commesse di imprese che forniscono
servizi sostitutivi di mensa aziendale.
-
Erra voce bevande alcoliche in Enc. Dir. Vol. V, Milano 316
-
All’articolo 689 c.p. fa riferimento anche l’articolo 24 del
R.D. 24 dicembre 1934 n. 2316 (Testo unico delle leggi sulla
protezione ed assistenza della maternità ed infanzia) il quale
recita che: “Sono vietati nelle scuole, nei convitti e in tutti gli
istituti di educazione e di ricovero la somministrazione e l'uso
di bevande alcooliche ai minori degli anni 16,
comprendendosi fra tali bevande anche il vino.”
-
In tal senso G.MANZINI Trattato di diritto penale UTET
1986 paragrafo 3770 pag. 644
-
Con l’articolo 1
della legge 524/1971, infatti, venivano “abrogati gli articoli
89,90,91,95,96,97,98, nonché il terzo e il quarto comma dell'articolo
103 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza,approvato con regio
decreto 18 giugno 1931,n.773.”
-
G.SABATINI. Le contravvenzioni nel codice penale vigente,
CASA EDITRICE F.VILLARDI, pag. 566
-
L’articolo 1559 fornisce la seguente nozione: La
somministrazione è il contratto con il quale una parte si obbliga, verso
corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell'altra,
prestazioni periodiche o continuative di cose.
-
In senso conforme anche Erra op.cit. p. 304 “E' ovviamente
indifferente che la vendita di bevande alcoliche sia l'unica o
la principale attività dell'esercizio ovvero sia accessoria di
altre attività, come avviene, per esempio, nelle drogherie”
-
In tal senso C.ERRA. op. cit. p. 315
revisionato) che regola l’attività di commercio al minuto. Su queste discipline
ci si può chiedere, oggi, se soprintende ancora il testo unico di pubblica
sicurezza che, per quanto riguarda le bevande alcoliche e i superalcolici,
individua espressamente, all’articolo 86 (nota 14) e all’articolo 176 del relativo regolamento,
l’ambito di applicabilità con
riferimento sia al consumo sul posto che alla vendita se
effettuata nei recipienti di 0,200
e 0,33 rispettivamente per gli alcolici e i superalcolici. Il
dubbio sorge dal fatto che il
decreto legislativo 114 del 1998 elenca, specificatamente, le
attività commerciali escluse
dal suo ambito (nota 15) ma, contrariamente a quanto aveva fatto la
legge 426/1971, non fa
salve le eventuali normative di settore. In pratica, il decreto
legislativo 114/1998 si pone
come “la legge” per il settore del commercio.
Tra l’altro, successivamente al 1974, essendo cadute (si
riteneva) le ragioni di contrasto
dell’alcolismo, il legislatore ha cambiato l’impostazione della
disciplina relativa ai pubblici
esercizi e, da normativa orientata alla repressione
all’alcolismo, si è passati a disciplina a
carattere economico programmatorio, come un paio di anni prima
era stato fatto per le
attività commerciali. Inoltre, su questo specifico argomento,
con l’articolo 23, quarto
comma del dm 28 aprile 1976, è stato scritto un nuovo capitolo.
Con tale disposizione,
infatti, è stata estesa anche agli esercizi pubblici (quelli
muniti della autorizzazione
prevista dall’articolo 86 del tulps e dalla legge 524 del 1971) la possibilità
di vendere bevande alcoliche e superalcoliche senza l’obbligo della licenza per
l’attività di vendita, a prescindere dai vincoli imposti dall’articolo 176 del
regolamento. In sostanza, nei bar e
ristoranti si poteva (e si può) effettuare congiuntamente
l’attività di somministrazione
(consumo sul posto) e l’attività commerciale (vendita per
asporto).
Oggi, questa facoltà è prevista dalla legge 287/1991. Infatti,
l’articolo 5, al comma 4,
dispone che:
4. Gli esercizi di cui al presente articolo hanno facoltà di
vendere per asporto le bevande ………... In
ogni caso l'attività di vendita è sottoposta alle stesse norme
osservate negli esercizi di vendita al minuto.
Riepilogando, in conseguenza alle successive modifiche, nei
pubblici esercizi per la
somministrazione di alimenti e bevande è consentito
somministrare (ovvero consumare
in luoghi attrezzati) e vendere, per asporto, le bevande di
qualsiasi gradazione alcolica
esse siano, mentre gli esercizi commerciali sprovvisti di
autorizzazione per l’attività di
somministrazione, possono (o meglio potevano per le ragioni di
cui si dirà più sotto)
soltanto vendere per asporto le bevande e non somministrarle.
Non si ritiene, per effetto
della mancanza di qualsiasi riferimento contenuto nella
disciplina commerciale, che
sussista ancora l’obbligo per i titolari dei negozi che
intendono porre in vendita bevande
in recipienti dal contenuto inferiore a un terzo e un quinto di
litro, (0.33 e 0.20)
rispettivamente per gli alcolici e i superalcolici, di munirsi
della licenza prevista
dall’articolo 86 del tulps che era, invece, originariamente
necessaria come risulta dalla già
indicata circolare ministeriale n. 10.4053/12000.
Ma c’è di più. Si è chiarito che oggi i bar, ristoranti, pizzerie, pub, negozi e
supermercati possono vendere di tutto: dalla lattina di birra alla mignon di
liquore, dalla damigiana di vino al fusto di birra, senza alcun vincolo Insomma,
il quantitativo non rileva giuridicamente. L’unica distinzione tra esercizi
pubblici (in senso stretto) e negozi al minuto (nota 16) è che
i primi mettono al servizio del consumatore, strutture ed attrezzature per il
consumo sul posto (nota 17). Tra l’altro, questa distinzione è
stata fortemente mitigata da due diverse leggi: la legge 25 marzo 1997, n. 77
(Disposizioni in materia di commercio e di camere di commercio) che,
all’articolo 4 (nota 18) , introduce la facoltà per i negozi
di vendere, per il consumo immediato (utilizzando i buoni pasto), alimenti e
bevande, e la legge
248/2006 (prima lenzuolata Bersani) che, per la previsione
contenuta all’articolo 3,
consente il consumo immediato dei prodotti di gastronomia presso
l'esercizio di
vicinato, utilizzando i locali e gli arredi dell'azienda con
l'esclusione del servizio assistito
di somministrazione e con l'osservanza delle prescrizioni
igienico-sanitarie. Insomma, se
la somministrazione (in senso stretto ovvero quella disciplinata
dalla legge 287/1991)
originariamente esigeva un quid pluris, rispetto al
commercio al minuto di alimenti e
bevande, costituito dall’ allestimento di spazi e strutture che
consentano all'acquirente di
consumare in loco i prodotti stessi, oggi questa
distinzione non rileva più tenuto conto
che anche i negozi al minuto consentono il consumo sul posto di
“alimenti e bevande “
(all’interno del servizio sostitutivo di mensa) e il consumo sul
posto di “prodotti di
gastronomia” per effetto della legge 248/2006.
La somministrazione sanzionata dal codice penale
Il codice, all'art. 689, persegue il fine immediato di tutelare
persone che per l'immaturità
o per condizioni psicopatologiche mancano della potestà di
autogoverno oltre a voler
prevenire l'alcolismo quale causa di degenerazione individuale o
sociale e di criminalità.(nota 19)
L’articolo 689 c.p (nota 20) non fa alcun rinvio a quella vendita al
minuto e al consumo sul
posto utilizzati espressamente dall’articolo 86 del tulps che,
com’è noto, è stato
revisionato dopo la stesura del codice penale, proprio al fine
di sistematizzarne i
contenuti. Né fa alcun riferimento alla vendita per asporto
degli alcolici, secondo il
significato che più sopra è stato esaminato in relazione
all’articolo 176 del regolamento
tulps. La rubrica dell’articolo 689 del codice penale recita,
infatti: “Somministrazione di
bevande alcooliche a minori o a infermi di mente”
e dispone che:
“L'esercente un'osteria o un altro pubblico spaccio di cibi o di
bevande, il quale somministra, in un luogo
pubblico o aperto al pubblico, bevande alcooliche a un minore
degli anni sedici, o a persona che appaia
affetta da malattia di mente, o che si trovi in manifeste
condizioni di deficienza psichica a causa di
un'altra infermità, è punito con l'arresto fino a un anno”.
Interpretare oggi la norma penale non è facile tenuto conto dell’evoluzione
della terminologia che il legislatore ha via via utilizzato. E’ d’aiuto, sotto
questo punto di vista, individuare con precisione il bene giuridico che il
legislatore, all’epoca, intendeva tutelare: la prevenzione all’alcolismo come
causa di degenerazione individuale e sociale e di delinquenza. (nota
21) Certamente, comunque, non si può ritenere, al di là di ogni ragionevole
dubbio, che il significato di “somministrazione” utilizzato nel
1930 nel codice penale
possa essere lo stesso che è stato utilizzato 44 anni dopo,
nella legge 524 del 1974 che
aveva come fine quello di programmare l’apertura di nuovi
esercizi pubblici, e che ha
abrogato esplicitamente la disciplina contenuta nel tulps posta
originariamente,
nell’ordinamento, proprio al fine di contrastare la piaga
dell’alcolismo attraverso l’attività
di vigilanza sul consumo e vendita delle bevande alcoliche.(nota 22)
Ritornando, quindi, all’articolo 689 del codice penale, diventa
fondamentale capire a che
cosa intendeva riferirsi il legislatore, nel momento in cui ha
inteso sanzionare l’attività di
somministrazione ai minori di anni 16, ovvero diventa
fondamentale capire se si deve
intendere esclusivamente la vendita per il consumo immediato o
sul posto (che ormai è
consentita come si è visto sia negli esercizi pubblici che nei
negozi) o anche la vendita
per asporto; la vendita effettuata all’interno dei pubblici
esercizi o anche quella nei
negozi. Insomma, se il fine della disposizione era (ed è
certamente ancora oggi) la lotta
all’alcolismo, va ricercato il comportamento che, allora, il
legislatore intendeva punire per
non privare di senso logico la disposizione proprio oggi che,
come si è visto, l’unica
differenza tra negozi e bar, a volte, è solo il servizio al
tavolo.
L’azione penalmente punita è “il somministrare” cioè dare,
offrire dietro corrispettivo o
anche gratuitamente. Secondo autorevole dottrina (nota 23), “poiché il
pericolo sorge col rendere
possibili gli effetti dell’uso di alcolici, che riesce dannoso
specialmente alle persone (qui)
considerate, la legge adopera l’espressione lata di
somministrare anziché quella di
vendere, rimanendo indifferente l’indagine a qual titolo e per
quale scopo la
somministrazione venga fatta. Né occorre che la bevanda sia
consumata, bastando che
sia messa a disposizione e sia ricevuta dal destinatario”.
Insomma il legislatore ha fatto
un uso atecnico del termine proprio al fine di non vanificare il
fine della norma e di
nessun aiuto è, a tale proposito, la definizione di
somministrazione fornita dal codice
civile. (nota 24)
In sostanza, il somministrare in senso lato ha portato ad
interpretare il termine in senso
stretto restringendo, quindi, la portata della disposizione con
le conseguenze agli occhi di
tutti. E dire che già Manzini, nel suo trattato, aveva
evidenziato come il legislatore non
“restringe la sua previsione agli spacci in cui si vendono o si
consumano bevande
alcoliche, ma la estende anche agli spacci di bevande o di
cibi (nota 25), a differenza dell’articolo
234, e come l’articolo 625, n.6” che parlano espressamente di
spacci di bevande
alcoliche. “Di conseguenza, puntualizza Manzini, la contravvenzione è imputabile
anche all’esercente codesti spacci, quando, sia pure eccezionalmente rispetto a
ciò che nel suo esercizio normalmente si vende, abbia commesso il fatto
contemplato nell’articolo 689”.
Fortunatamente il requisito professionale per l’attività di
vendita di prodotti alimentari e
per l’attività di somministrazione (in senso stretto) di
alimenti e bevande esiste ancora e
quindi un buon corso di aggiornamento su questo argomento è
d’obbligo. Alle camere di
commercio, ai CAT e alle associazioni di categoria, dunque,
oggi, l’ingrato compito di
riordinare le carte per giocare una nuova partita nel rispetto
delle regole e reprimere un
fenomeno che sta dilagando. Dopotutto “somministrare bevande
alcoliche significa
fornire tali bevande a una persona perché le consumi bevendole e
non occorre però che
la bevanda sia effettivamente ingerita, bastando che essa sia
posta a disposizione della
persona.” (nota 26) Di conseguenza, non c’è differenza alcuna tra il
mettere a disposizione del
cliente minore di sedici anni la bevanda alcolica in bar o nel
negozio. Questo si afferma
nel divieto posto dall’articolo 689 cp. e tale divieto non è
stato mai rimosso
dall’ordinamento. 10 luglio 2008
note:
-
Il riferimento è
all’articolo 689 del c.p.
-
Tra l’altro, le
due diverse forme di commercio che originariamente erano disciplinate in due
corpi normativi diversi, la legge 426/1971 per il commercio in area
privata, la legge 398/1976 per il commercio ambulante sostituita poi dalla
legge 112/1991, sono confluite ambedue nel decreto legislativo 114/1998.
-
Di fatto, questo articolo è sempre stato considerato come base
giuridica per l’apertura di un esercizio pubblico e non,
anche, per la mera vendita di bevande alcoliche. Invece la
licenza prevista dall’articolo 86 del tulps legittimava, nel passato, la
vendita di alcolici sfusi o, comunque, in recipienti di limitato
contenuto. L’articolo 89 rendeva obbligatoria una speciale
licenza per la vendita dei superalcolici.
-
Si tratta della legge la cui rubrica recita Modificazione al
regime fiscale degli spirit. La legge è stata pubblicata nella Gazz.
Uff. 18 maggio 1981, n. 134.
-
E’ ben noto che la competenza al rilascio delle licenze
previste dall’articolo 86 del tulps è competenza del sindaco fin dal
dpr 616/1977, ma si ritiene di lasciare il riferimento al
questore per chiarire nei termini più chiari la problematica.
-
In tal senso N.DE RUBERTIS La legislazione di pubblica
sicurezza. Firenze 1987 pag. 570
-
Il riferimento alla circolare della direzione generale deella
PS 10 novembre 1970 n. 10.4053.12000 è in DE RUBERTIS op. cit. pag. 571.
-
L’art. 17 bis del tulps dispone, al primo comma, che “Le
violazioni alle disposizioni di cui agli articoli 59, 60, 75, 75-bis, 76,
se il fatto è commesso contro il divieto dell'autorità, 86, 87,
101, 104, 111, 115, 120, comma secondo, limitatamente alle
operazioni diverse da quelle indicate nella tabella, 121, 124 e
135, comma quinto, limitatamente alle operazioni diverse da
quelle indicate nella tabella, sono soggette alla sanzione
amministrativa del pagamento di una somma da € 516,00 a €
3098,00.”
-
Originariamente l’attività commerciale era disciplinata dal
regio decreto-legge 16 novembre 1926,n. 2174, convertito in
legge 18 dicembre 1927. Successivamente, questa disciplina è
stata sostituita dalla legge 426 del 1971 che, a sua volta, è stata
abrogata dal decreto legislativo 114/1998.
-
Si veda, a tale riguardo, l. ’articolo 45 n. 7 della legge
426/1971.
-
A dire il vero già con la legge 426/1971 era stata
introdotta, all’articolo 1, la seguente definizione: “l'attività di commercio
al minuto, (è esercitata da) chiunque professionalmente acquista
merci a nome e per conto proprio e le rivende, in sede
fissa,o mediante altre forme di distribuzione,direttamente al
consumatore finale”
-
La legge di riferimento è oggi la n. 287/1991
-
N. DE RUBERTIS op. cit. pag. 529
-
Tra l’altro, Gianfranco Cardosi nella rivista Commercio e
servizi ed. Maggioli, n. 3/2007, pag. 17, sostiene l’implicita
abrogazione delle norme del tulps per l’attività di
somministrazione, essendo quest’ultima ormai organicamente e
completamente disciplinata dalla legge 287 del 1991.
-
L’elencazione degli ambiti esclusi dalla disciplina meramente
commerciale sono contenuti nell’articolo 4, comma 2 del d.lgs 114/1998 e sono:
a) ai farmacisti e ai direttori di farmacie delle quali i comuni
assumono l'impianto e l'esercizio ai sensi della legge 2 aprile
1968, n. 475, e successive modificazioni, e della legge 8
novembre 1991, n. 362, e successive modificazioni, qualora vendano
esclusivamente prodotti farmaceutici, specialità medicinali,
dispositivi medici e presidi medico-chirurgici;
b) ai titolari di rivendite di generi di monopolio qualora
vendano esclusivamente generi di monopolio di cui alla legge 22
dicembre 1957, n. 1293, e successive modificazioni, e al
relativo regolamento di esecuzione, approvato con decreto del
Presidente della Repubblica 14 ottobre 1958, n. 1074, e
successive modificazioni;
c) alle associazioni dei produttori ortofrutticoli costituite ai
sensi della legge 27 luglio 1967, n. 622, e successive
modificazioni;
d) ai produttori agricoli, singoli o associati, i quali
esercitino attività di vendita di prodotti agricoli nei limiti di cui
all'articolo
2135 del codice civile, alla legge 25 marzo 1959, n. 125, e
successive modificazioni, e alla legge 9 febbraio 1963, n. 59, e
successive modificazioni;
e) alle vendite di carburanti nonché degli oli minerali di cui
all'articolo 1 del regolamento approvato con regio decreto 20
luglio 1934, n. 1303, e successive modificazioni. Per vendita di
carburanti si intende la vendita dei prodotti per uso di
autotrazione, compresi i lubrificanti, effettuata negli impianti
di distribuzione automatica di cui all'articolo 16 del decretolegge
26 ottobre 1970, n. 745, convertito, con modificazioni, dalla
legge 18 dicembre 1970, n. 1034, e successive
modificazioni, e al decreto legislativo 11 febbraio 1998, n. 32;
f) agli artigiani iscritti nell'albo di cui all'articolo 5,
primo comma, della legge 8 agosto 1985, n. 443, per la vendita nei locali di
produzione o nei locali a questi adiacenti dei beni di
produzione propria, ovvero per la fornitura al committente dei beni
accessori all'esecuzione delle opere o alla prestazione del
servizio;
g) ai pescatori e alle cooperative di pescatori, nonché ai
cacciatori, singoli o associati, che vendano al pubblico, al dettaglio, la
cacciagione e i prodotti ittici provenienti esclusivamente
dall'esercizio della loro attività e a coloro che esercitano la vendita
dei prodotti da essi direttamente e legalmente raccolti su
terreni soggetti ad usi civici nell'esercizio dei diritti di erbatico, di
fungatico e di diritti similari; h) a chi venda o esponga per la vendita le
proprie opere d'arte, nonché quelle dell'ingegno a carattere creativo,
comprese le proprie pubblicazioni di natura scientifica od informativa,
realizzate anche mediante supporto informatico; i) alla vendita dei beni del
fallimento effettuata ai sensi dell'articolo 106 delle disposizioni
approvate con regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive
modificazioni; l) all'attività' di vendita effettuata durante il periodo di
svolgimento delle fiere campionarie e delle mostre di prodotti nei confronti
dei visitatori, purché riguardi le sole merci oggetto delle manifestazioni e
non duri oltre il periodo di svolgimento delle manifestazioni stesse; m)
agli enti pubblici ovvero alle persone giuridiche private alle quali
partecipano lo Stato o enti territoriali che vendano pubblicazioni o altro
materiale informativo, anche su supporto informatico, di propria o altrui
elaborazione, concernenti l'oggetto della loro attivata.
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Come si è chiarito oggi per negozio al minuto non si intende
più la minuta vendita alla quale faceva riferimento, con riguardo agli
alcolici, l’articolo 86 del tulps, bensì rileva la
distinzione tra vendita l minuto e vendita all’ingrosso, nel senso
che la nella vendita al minuto il destinatario finale,
l’acquirente, è il consumatore finale, mentre nel commercio all’ingrosso,
l’acquirente è l’utilizzatore professionale o altro soggetto
individuato espressamente dall’articolo 4 del d.lgs 114/1998,
ovvero altri commercianti, all'ingrosso o al dettaglio o ad
altri utilizzatori in grande.
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Interessante, relativamente a questo aspetto, la sentenza
Cassazione civile , sez. I, 19 maggio 2006 , n. 11845, la cui
massima precisa che la vendita al dettaglio di prodotti
alimentari per mezzo di apparecchi automatici, la quale, a norma
dell'art. 17 del d.lg. n. 114 del 1998, che la disciplina, è
soggetta (come quella di ogni altro prodotto) è soggetta ad apposita
comunicazione al comune competente per territorio, si distingue
dalla somministrazione di alimenti e bevande a mezzo dei
predetti apparecchi, regolata dall'art. 1 della legge n. 287 del
1991, che, al comma 1, ne definisce l'ambito, richiedendo
rispetto al commercio al minuto un quid pluris, costituito dalla predisposizione
di spazi e strutture che consentano all'acquirente di consumare in loco i
prodotti stessi, e, al comma 2, estende la operatività della legge stessa
anche con riguardo alla somministrazione effettuata con distributori
automatici in locali esclusivamente adibiti a tale attività. Nelle ipotesi
contemplate dalla citata legge n. 287 del 1991, la vendita attraverso
apparecchiature automatiche costituisce solo una modalità di consegna del
prodotto per il consumo in loco diversa da quella della consegna al banco,
e, pertanto, essa rientra nell'attività di somministrazione di alimenti e
bevande già autorizzata al momento dell'apertura dell'esercizio pubblico,
con la conseguente esclusione dell'obbligo di apposita comunicazione al
Comune, cui la legge n. 287 del 1991 non fa alcun riferimento.
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L’articolo 4 Servizi sostitutivi di mensa della legge 77/1997
dispone che: 1. Per servizi sostitutivi di mensa resi a mezzo dei buoni
pasto di cui al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 3
marzo 1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 66 del 21 marzo 1994,
devono intendersi le somministrazioni di alimenti e bevande effettuate dai
pubblici esercizi, nonché le cessioni di prodotti di gastronomia pronti per
il consumo immediato effettuate da mense aziendali, interaziendali,
rosticcerie e gastronomie artigianali, pubblici esercizi e dagli esercizi
commerciali muniti dell'autorizzazione di cui all'articolo 24 della legge 11
giugno 1971, n. 426 , per la vendita dei generi compresi nella tabella I
dell'allegato 5 al decreto 4 agosto 1988, n. 375 , del Ministro
dell'industria, del commercio e dell'artigianato nonché dell'autorizzazione
di cui all'articolo 2 della legge 30 aprile 1962, n. 283 , per la
produzione, preparazione e vendita al pubblico di generi alimentari, anche
su area pubblica, e operate dietro commesse di imprese che forniscono
servizi sostitutivi di mensa aziendale.
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Erra voce bevande alcoliche in Enc. Dir. Vol. V, Milano 316
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All’articolo 689 c.p. fa riferimento anche l’articol
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