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Nota a margine della sentenza della Corte Costituzionale n. 241 del 4 luglio 2008
di Marilisa Bombi
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 251 del 4 luglio 2008, richiama la regola tecnica del 19 agosto 1996 (Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio dei locali di intrattenimento e di pubblico spettacolo) precisando che tale decreto detta una serie di disposizioni di sicurezza, anche a tutela delle persone con ridotte o impedite capacità motorie, per la «prevenzione degli incendi» e allo «scopo di raggiungere i primari obiettivi di sicurezza relativi alla salvaguardia delle persone e alla tutela dei beni» (art. 2, comma 1, primo inciso); ciò per far sì che i locali di intrattenimento e di pubblico spettacolo siano realizzati e gestiti in modo da «assicurare la possibilità che gli occupanti lascino il locale indenni o che gli stessi siano soccorsi in altro modo» (art. 2, comma 1, lettera e).
Il giudice delle leggi ha preso in esame un’istanza di rimessione del Tribunale di Reggio Emilia, al quale si era rivolto un portatore di handicap grave ed invalido civile al 100% per tetraplegia postraumatica perché la società che gestisce la multisala l’aveva costretto ad assistere alla proiezione del film a soli quattro metri dallo schermo, mentre la sala era quasi tutta vuota. Il giudice ha richiesto l’intervento manipolativo della Corte, ritenendo indispensabile che la Corte adotti una pronuncia che integri il contenuto precettivo della normativa oggetto di censura, affinché risultino previste nuove, ulteriori, disposizioni attinenti alle modalità di costruzione degli edifici de quibus, in modo che siano assicurati, sempre ed in ogni caso, ai disabili gli stessi diritti di partecipazione a manifestazioni, eventi e spettacoli riconosciuti a tutte le altre persone.
La Corte, nella sua articolata sentenza, ha evidenziato come attraverso la pluralità degli ambiti normativi di intervento a favore degli interessati, sul tema della condizione giuridica della persona disabile, confluiscano un complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale; e come, conseguentemente, il canone ermeneutico da impiegare in siffatta materia sia essenzialmente dato dall’interrelazione ed integrazione tra i precetti in cui quei valori trovano espressione e tutela (sentenza n. 215 del 1987).
È opportuno, la Corte ha osservato, come la giurisprudenza della Corte stessa, nel delineare il contenuto dei diritti che la Costituzione riconosce e attribuisce ai disabili, abbia chiarito, da un lato, che deve ritenersi ormai superata la concezione di una loro radicale irrecuperabilità e che la socializzazione deve essere considerata un elemento essenziale per la salute degli interessati, sì da assumere una funzione sostanzialmente terapeutica assimilabile alle pratiche di cura e riabilitazione (sentenze n. 167 del 1999 e n. 215 del 1987); dall’altro, che la legislazione relativa alle persone disabili − in particolare la legge n. 13 del 1989 e la legge n. 104 del 1992 − non si è limitata ad innalzare il livello di tutela in loro favore, ma ha segnato un radicale mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone affette da invalidità, considerati come problemi non solo di carattere individuale dei disabili, ma dell’intera collettività (citata sentenza n. 167 del 1999). In pratica, secondo il giudice delle leggi, i principi costituzionali rispondono all’esigenza di una generale salvaguardia della personalità e dei diritti dei disabili e trovano base costituzionale nella garanzia della dignità della persona e del fondamentale diritto alla salute degli interessati, intesa quest’ultima nel significato, proprio dell’art. 32 Cost., comprensivo anche della salute psichica oltre che fisica. Richiamando anche il diritto comunitario, la Corte, tuttavia, ha affermato che la pronuncia additiva richiesta, che non può essere considerata costituzionalmente obbligata, esula però dai poteri della Corte stessa, in quanto è diretta a privilegiare una delle possibili forme di intervento a favore delle persone disabili, in sostituzione di un sistema caratterizzato dalla concreta valutazione anche di altri interessi, tra i quali non possono escludersi quelli relativi agli oneri economici eventualmente derivanti, allo stato, dalla forma di tutela prescelta.
Resta comunque fermo – secondo la Corte - che, su un piano più generale e pur con i suoi limiti, la normativa vigente sulla eliminazione delle barriere architettoniche attende ancora di essere compiutamente attuata a salvaguardia dei fondamentali diritti delle persone disabili; ciò che postula il concorso di tutte le autorità pubbliche interessate, ciascuna nell’ambito della propria competenza legislativa ed amministrativa.
(su gentile concessione di EDK Editore)