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Sale giochi: in particolari zone del territorio, il comune può vietarne l’apertura
 

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Presenta diversi spunti interessanti, la sentenza n. 6523 del 9 luglio 2008 del Tar Lazio, sezione II ter, con la quale è stato respinto un ricorso contro la determina dirigenziale che ha rigettato la domanda di autorizzazione all’apertura di una sala giochi e, contemporaneamente, dichiarato l’inefficacia della dichiarazione di inizio attività che, precedentemente, era stata inoltrata ma che non era stata ritenuta sufficiente dal Comune di Roma, per l’esercizio legittimo dell’attività, anche se, a suo tempo, in tal senso si era espresso il Ministero dell’Interno con la circolare del 28 giugno 2001.
Il Tribunale amministrativo del Lazio, tuttavia, si è soffermato, ritenendolo sufficiente, sul motivo di contrasto tra la sala giochi e le disposizioni urbanistiche. La questione è rilevante, in quanto il tribunale afferma quanto già altri giudici avevano sostenuto, ovvero che “che l’attività di sala giochi non rientra né tra quelle soggette alla disciplina del commercio né tra quelle soggette alla disciplina dei pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande. Si tratta perciò di un pubblico esercizio al quale si applica esclusivamente (in assenza di una specifica regolamentazione comunale), il T.U. 18 giugno 1931, n. 773 ed il relativo regolamento di esecuzione approvato con R.D. 6 maggio 1940 n. 635”.

Relativamente a questo aspetto, vanno precisate due questioni:

a) Nulla afferma il tulps, all’articolo 86 che disciplina l’apertura delle sale gioco, relativamente all’eventuale rispetto delle norme urbanistiche. Mentre, ovviamente viene fatto salvo il rispetto della conformità della destinazione d’uso dei locali, (agibilità dei locali previa verifica dell’Asl) in base a quanto espressamente richiesto dall’articolo Art. 153 del regolamento tulps: “La licenza può essere rifiutata o revocata per ragioni di igiene o quando la località o la casa non si prestino ad essere convenientemente sorvegliate.

b) Già il quartultimo comma dell’articolo 19 del dpr 616/1977 (purtroppo scarsamente utilizzato dalle amministrazioni comunali) disponeva che “Fino all'entrata in vigore della legge di riforma degli enti locali territoriali, i consigli comunali determinano procedure e competenze dei propri organi in relazione all'esercizio delle funzioni di cui al comma precedente.” Oggi le amministrazioni dispongono di totale autonomia relativamente alle procedure e ai vincoli che le attività economiche devono rispettare, soprattutto in riferimento all’art. 117 Cost. (quartultimo comma) e alla legge 131/2003 attuativa della riforma del titolo V.

Un significativo, e interessante esempio, in tal senso, è proprio la delibera n. 187/2003 che il Consiglio comunale di Roma ha adottato e avente come obiettivo il: Programma di tutela e riqualificazione del commercio, dell'artigianato e delle altre attività di competenza della Città Storica.
Secondo quanto affermato dal tar Lazio, in sostanza, il potere di pianificazione e programmazione tipico delle prerogative comunali è ampio, sia che si tratti di materia urbanistica ovvero di “commercio” oppure di “riqualificazione del centro storico”. Di conseguenza, in attesa di organica ri-regolamentazione della materia della Polizia amministrativa oggi di competenza delle regioni, i comuni hanno la possibilità di introdurre una disciplina vincolistica che deve, ovviamente, tenere conto dell’ordinamento comunitario e che, di conseguenza, non potrà limitare l’apertura di sale giochi (o altra attività) se non a fronte di comprovate (e giustificate come nel caso preso in esame) motivazioni.

Settembre 2008

(Su gentile concessione di EDK editore)
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