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Circoli privati: le leggi regionali sviliscono la Costituzione
 

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Il Servizio per gli affari istituzionali e il sistema delle autonomie locali della Regione Friuli Venezia Giulia affronta, in un articolato parere dell’11 settembre 2008, la questione della compatibilità della disciplina statale con quella regionale, in materia di somministrazione di bevande all’interno dei circoli privati. Le questioni affrontate meritano qualche approfondimento, in quanto non tutte le argomentazioni svolte possono essere condivise. I dubbi per l’interprete, su come sistematizzare la disciplina statale e quella regionale in materia di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande sono rilevanti anche perché diverse regioni, pur avendo sostituito alla legge 287/1991 una propria disciplina a seguito della facoltà loro concessa dalla modifica del titolo V Cost, ed in particolare la novella dell’articolo 117, non hanno fatto riferimento alcuno al dpr 235/2001 (salvo rare eccezioni) che disciplina, appunto, l’attività di somministrazione di alimenti e bevande all’interno della sede delle associazioni, siano queste o meno riconosciute a livello statale o regionale. Molte regioni, in pratica, hanno esteso, anche alla somministrazione all’interno dei circoli, la disciplina generale prevista per gli esercizi aperti al pubblico. Relativamente a quest’aspetto, ci sono alcune considerazioni da fare.

1. Le associazioni di promozione sociale: una tutela speciale

Con la legge 7 dicembre 2000, n. 383 è stata emanata la "Disciplina delle associazioni di promozione sociale". In particolare, ed è decisamente opportuno riprodurre l’articolo 1, che detta le finalità della legge, è stata data attuazione ad un principio costituzionale:

Art. 1 (Finalità e oggetto della legge)

1. La Repubblica riconosce il valore sociale dell’associazionismo liberamente costituito e delle sue molteplici attività come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo; ne promuove lo sviluppo in tutte le sue articolazioni territoriali, nella salvaguardia della sua autonomia; favorisce il suo apporto originale al conseguimento di finalità di carattere sociale, civile, culturale e di ricerca etica e spirituale.
2. La presente legge, in attuazione degli articoli 2, 3, secondo comma, 4, secondo comma, 9 e 18 della Costituzione, detta princìpi fondamentali e norme per la valorizzazione dell’associazionismo di promozione sociale e stabilisce i princìpi cui le regioni e le province autonome devono attenersi nel disciplinare i rapporti fra le istituzioni pubbliche e le associazioni di promozione sociale nonchè i criteri cui debbono uniformarsi le amministrazioni statali e gli enti locali nei medesimi rapporti.
3. La presente legge ha, altresì, lo scopo di favorire il formarsi di nuove realtà associative e di consolidare e rafforzare quelle già esistenti che rispondono agli obiettivi di cui al presente articolo.

1.1 La somministrazione temporanea

Questa legge, per quanto riguarda l’argomento in esame, ovvero quello della somministrazione di alimenti e bevande, contiene due disposizioni di rilevante interesse. La prima che riguarda la somministrazione temporanea è quella contenuta all’articolo 31, comma 2:

2. Alle associazioni di promozione sociale, in occasione di particolari eventi o manifestazioni, il sindaco può concedere autorizzazioni temporanee alla somministrazione di alimenti e bevande in deroga ai criteri e parametri di cui all'articolo 3, comma 4, della legge 25 agosto 1991, n. 287. Tali autorizzazioni sono valide soltanto per il periodo di svolgimento delle predette manifestazioni e per i locali o gli spazi cui si riferiscono e sono rilasciate alla condizione che l'addetto alla somministrazione sia iscritto al registro degli esercenti commerciali.

In sostanza, nelle regioni in cui si continua ancora ad applicare la legge 287/1991 questa disposizione assume il suo rilevante peso tenuto conto che l’articolo 103 del tulps è stato abrogato dall'art. 6, d.p.r. 28 maggio 2001, n. 311. Se, quindi, la legge 287/1991 non prevede l’attività di somministrazione esercitata temporaneamente, al di là delle ipotesi dell’attività di somministrazione collegata all’attività di trattenimento e svago in forma prevalente, in soccorso viene questa disposizione contenuta nella legge a sostengo dell’associazionismo. In sostanza, possono essere concesse autorizzazioni temporanee in occasione di particolari eventi alle associazioni di volontariato (e non quindi ad altri). E’ questa, palesemente, una forma di auto-finanziamento che il legislatore ha voluto espressamente prevedere e che, purtroppo, molto spesso i comuni neppure applicano, in quanto non ne sono neppure a conoscenza. E’ evidente che nelle regioni in cui l’attività di somministrazione temporanea, per particolari eventi, è stata espressamente disciplinata e, di conseguenza, risulta legittima, negli altri casi, l’eventuale attività temporanea di somministrazione esercitata da soggetti estranei al mondo dell’associazionismo è vietata al di fuori delle ipotesi alla quale si è fatto precedentemente cenno, ovvero quella dell’attività congiunta al trattenimento e svago, prevalente.

1.2 Gli aspetti urbanistici

Il comma 4 dell’articolo 32 della legge 383/2000, la cui rubrica recita “ Strutture per lo svolgimento delle attività sociali”, dispone che:

4. La sede delle associazioni di promozione sociale ed i locali nei quali si svolgono le relative attività sono compatibili con tutte le destinazioni d'uso omogenee previste dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968, indipendentemente dalla destinazione urbanistica.

Su questo specifico aspetto ci sono stati, quest’estate, due interessanti pronunciamenti da parte di due distinti tribunali amministrativi regionali e sui quali si è già avuto modo di soffermarci che denotano una coincidenza stupefacente: ambedue le sentenze, infatti, sono state depositate lo stesso giorno, ovvero il 5 giugno 2008. Nessun vincolo urbanistico, si afferma in tali sentenze, può essere imposto per i cosiddetti circoli privati, neppure se somministrano alimenti e bevande ai propri soci. Tar Veneto e il Tar Puglia, quindi, rispettivamente con la sentenza 1661 del Tar Veneto e n. 1653 del Tar leccese. hanno accolto due distinti ricorsi, con la medesima motivazione costruita sulla previsione dell'articolo dell’art. 32 della legge n. 383 del 2000. Ne consegue che le regioni non possono introdurre, all’interno della propria disciplina, vincoli di carattere urbanistico e, se lo fanno, è probabile che la legge regionale non superi il giudizio di costituzionalità, eventualmente richiesto, da parte del giudice delle leggi.

2. Il regolamento 235/2001

Sulla GU n. 141 del 20 giugno 2001 è stato pubblicato il decreto del Presidente della Repubblica 4 aprile 2001, n. 235, ovvero il “Regolamento recante semplificazione del procedimento per il rilascio dell'autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande da parte di circoli privati.” La prolissità nel definire il dpr 235/2001 è ben motivata. Infatti, la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3 “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione” è stata pubblicata nella GU del 24 ottobre 2001, n. 248 e dopo, in pratica, l’entrata in vigore del regolamento che disciplina l’attività di somministrazione da parte dei circoli privati. In tal senso va fugata ogni possibile ipotesi che le disposizioni del regolamento in questione possano essere ridefinite o sostituite da una normativa regionale, anche dopo la novella del titolo V Cost.

2.1 La competenza statale in materia regolamentare

La legge Costituzionale n. 3/2001, modificando l’art. 117 Cost. ha rigidamente definito le competenze legislative e regolamentari di Stato e regioni. Con la riforma del 2001, pertanto, lo Stato viene privato di quella generale potestà regolamentare che gli era stata implicitamente riconosciuta dal precedente sistema, stabilendo che lo stesso può emanare regolamenti solo nelle materie ad esso riservate dall’art. 117, comma II. Per inciso, con la sentenza n. 303/2003, la Corte Costituzionale ha riampliato il potere legislativo e regolamentare dello Stato, concedendo allo stesso, nei limiti ovviamente indicati nella sentenza, di disciplinare materie che pur non essendo comprese in quelle previste dall’art. 117 comma II, necessitano, comunque, di una disciplina unitaria a livello nazionale. Ma, nonostante tale “concessione”, la Corte Costituzionale ha escluso che i regolamenti di delegificazione possano essere adottati dallo Stato in materie non più riservate allo stesso a seguito della modifica dell’articolo 117 e che, di conseguenza, gli stessi possano avere efficacia in capo alle regioni e relativamente a materie di loro competenza. Riguardo al dpr 235/2001 la questione è un po’ più complessa per due ordini di motivi. Il primo dei motivi che rende necessario sistematizzare la disciplina di rango primario statale e regionale è connessa al fatto che il dpr 235/2001 è certamente un regolamento di delegificazione/semplificazione procedimentale per l’attività di somministrazione da parte dei circoli privati, ma non riguarda esclusivamente la materia del commercio: ovvero il contenuto del decreto non rientra in toto nelle competenze regionali ma riguarda, soprattutto, questioni fiscali che, com’è noto, sono di stretta o meglio dire esclusiva competenza dello Stato, perlomeno per gli aspetti qui in esame, anche dopo la riforma del 2001. L'art. 117 così come novellato prevede quindi, l’attribuzione della potestà regolamentare allo Stato nelle (sole) materie di legislazione esclusiva, salva delega alle regioni; alle regioni in ogni altra materia e alle autonomie locali - comuni, province e città metropolitane - in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite dallo Stato, ma risulta evidente che la materia tributaria ha un raggio d’azione ben più ampio della disciplina di ogni singola imposta.

2.2. I requisiti soggettivi e oggettivi per l’esercizio dell’attività di somministrazione

Il dpr 235/2001 è un concreto esempio di come il Governo dovrebbe operare per perseguire l’obiettivo da raggiungere. A tale proposito, è sufficiente prendere visione del comma due dell’articolo 2 per comprendere come, attraverso i requisiti formali previsti, risulta impossibile per le associazioni che non possiedono i requisiti previsti dal tuir, eludere le disposizioni. Il comma in questione prevede che, nella denuncia, il legale rappresentante dichiara:

a) l'ente nazionale con finalità assistenziali al quale aderisce;
b) il tipo di attività di somministrazione;
c) l'ubicazione e la superficie dei locali adibiti alla somministrazione;
d) che l'associazione si trova nelle condizioni previste dall'articolo 111, commi 3, 4-bis e 4-quinquies, del testo unico delle imposte sui redditi;
e) che il locale, ove è esercitata la somministrazione, è conforme alle norme e prescrizioni in materia edilizia, igienico-sanitaria e ai criteri di sicurezza stabiliti dal Ministero dell'interno ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge e, in particolare, di essere in possesso delle prescritte autorizzazioni in materia.

Riguardo alla lettera d) che rileva relativamente a quanto si intende approfondire, certamente non giova all’interprete, la ri-numerazione del tuir conseguente all’introduzione nel testo unico dei redditi della disciplina relativa all’Ires. Il titolo del capo è rimasto immutato: Capo III - Enti non commerciali residenti, ma la numerazione degli articoli non è più quella vigente all’epoca dell’emanazione del dor 235/2001. Oggi, infatti, gli articoli che interessano, sono quelli che vanno dall’articolo 143 all’articolo 150, già articoli rispettivamente 108 e 111 ter. Otto articoli che pongono paletti ben fissi per l’esercizio legittimo dell’attività e che dovrebbero indurre la pubblica amministrazione che applica la disposizione che regola l’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande ad effettuare le necessarie verifiche, sulla rispondenza di quanto dichiarato all’atto della presentazione della dichiarazione di inizio attività.

Più specificatamente, l’articolo 148, già 111, detta regole per gli enti di tipo associativo, precisando che:

1. Non è considerata commerciale l'attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo. Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo.

2. Si considerano tuttavia effettuate nell'esercizio di attività commerciali, salvo il disposto del secondo periodo del comma 1 dell'articolo 143, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. Detti corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi secondo che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità.

3. Per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un'unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati.

4. La disposizione del comma 3 non si applica per le cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita, per le somministrazioni di pasti, per le erogazioni di acqua, gas, energia elettrica e vapore, per le prestazioni alberghiere, di alloggio, di trasporto e di deposito e per le prestazioni di servizi portuali e aeroportuali né per le prestazioni effettuate nell'esercizio delle seguenti attività:
a) gestione di spacci aziendali e di mense;
b) organizzazione di viaggi e soggiorni turistici;
c) gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale;
d) pubblicità commerciale;
e) telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari.

5. Per le associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all'articolo 3, comma 6, lettera e), della legge 25 agosto 1991, n. 287, le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell'interno, non si considerano commerciali, anche se effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti e bevande effettuata, presso le sedi in cui viene svolta l'attività istituzionale, da bar ed esercizi similari e l'organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, sempreché le predette attività siano strettamente complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e siano effettuate nei confronti degli stessi soggetti indicati nel comma 3.

6. L'organizzazione di viaggi e soggiorni turistici di cui al comma 5 non è considerata commerciale anche se effettuata da associazioni politiche, sindacali e di categoria, nonché da associazioni riconosciute dalle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, sempreché sia effettuata nei confronti degli stessi soggetti indicati nel comma 3.

7. Per le organizzazioni sindacali e di categoria non si considerano effettuate nell'esercizio di attività commerciali le cessioni delle pubblicazioni, anche in deroga al limite di cui al comma 3, riguardanti i contratti collettivi di lavoro, nonché l'assistenza prestata prevalentemente agli iscritti, associati o partecipanti in materia di applicazione degli stessi contratti e di legislazione sul lavoro, effettuate verso pagamento di corrispettivi che in entrambi i casi non eccedano i costi di diretta imputazione.

8. Le disposizioni di cui ai commi 3, 5, 6 e 7 si applicano a condizione che le associazioni interessate si conformino alle seguenti clausole, da inserire nei relativi atti costitutivi o statuti redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata:

a) divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell'associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge;
b) obbligo di devolvere il patrimonio dell'ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità, sentito l'organismo di controllo di cui all'articolo 3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e salvo diversa destinazione imposta dalla legge;
c) disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l'effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d'età il diritto di voto per l'approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell'associazione;
d) obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie;
e) eleggibilità libera degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all'articolo 2532, comma 2, del codice civile, sovranità dell'assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti; è ammesso il voto per corrispondenza per le associazioni il cui atto costitutivo, anteriore al 1° gennaio 1997, preveda tale modalità di voto ai sensi dell'articolo 2532, ultimo comma, del codice civile e sempreché le stesse abbiano rilevanza a livello nazionale e siano prive di organizzazione a livello locale;
f) intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa.

9. Le disposizioni di cui alle lettere c) ed e) del comma 8 non si applicano alle associazioni religiose riconosciute dalle confessioni con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, nonché alle associazioni politiche, sindacali e di categoria).

In pratica, tante norme sostanziali e formali che premiano le associazioni che, effettivamente, integrano il servizio ai soci, con l’attività di somministrazione ma, contemporaneamente, inibiscono l’esercizio dell’attività a chi, soltanto, intende eludere attraverso la disciplina agevolatrice prevista per le associazioni di volontariato, le norme fiscali, quelle urbanistiche o, a suo tempo, quelle sul contingentamento per l’apertura degli esercizi di somministrazione. Il contenuto dello statuto dell’associazione, in pratica, che deve obbligatoriamente essere allegato alla dichiarazione per legittimare l’attività, (e conseguenzialmente controllato nei suoi contenuti) è un elemento che, fin dall’origine, rappresenta il sine qua non, il confine che qualifica, o meno, il rispetto delle disposizioni tributarie e, di conseguenza, l’applicabilità, o meno, del dpr 235/2001.

Altro requisito sostanziale previsto dal regolamento statale che, tuttavia, non può essere accertato all’inizio dell’attività ma perlomeno dopo il primo anno d’esercizio, è quello che fa riferimento all’articolo 149, già 111 bis del tuir: “Perdita della qualifica di ente non commerciale”. Tale disposizione, infatti, afferma che:

1. Indipendentemente dalle previsioni statutarie, l'ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d'imposta.

2. Ai fini della qualificazione commerciale dell'ente si tiene conto anche dei seguenti parametri:
a) prevalenza delle immobilizzazioni relative all'attività commerciale, al netto degli ammortamenti, rispetto alle restanti attività;
b) prevalenza dei ricavi derivanti da attività commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali;
c) prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e le quote associative;

Insomma, è sufficiente, dopo un anno di attività di somministrazione da parte del circolo, un sopralluogo in sede, per verificare se l’arredo della sede del circolo è destinato all’attività dell’associazione o è, invece, destinato, prevalentemente e quindi illegittimamente, all’attività di somministrazione. In quest’ultima ipotesi, è evidente che viene meno uno dei presupposti che ammette la disciplina di favore contenuta nel dpr 235/2001 rispetto alla ordinaria disciplina per l’attività di somministrazione al pubblico, con tutti i suoi vincoli, compresa la necessaria conformità urbanistica.

Concludendo, si può certamente dare ragione all’ufficio consulenza degli enti locali della Regione Friuli Venezia Giulia, nella parte in cui fa riferimento ai vincoli, applicabili, contenuti nel dpr 235/2001, anche se, a tale proposito, va corretta la visione regione-centrica. Non è esatto, infatti, affermare, come fa la Regione, che nel Friuli Venezia Giulia “non si applicano le disposizioni della legge 287/1991, avendo il Friuli Venezia Giulia autonomamente legiferato in materia. La disciplina relativa è, infatti, attualmente contenuta nella legge regionale 29/2005. È a tale legge, pertanto, che ci si dovrà riferire per tutti gli aspetti concernenti la materia delle attività commerciali e di somministrazione di alimenti e bevande. Non si applicherà nemmeno il D.P.R. 235/2001, bensì la legge regionale 29/2005, con la sola eccezione degli aspetti strettamente di pubblica sicurezza, igienico - sanitari e fiscali, contenuti nel regolamento presidenziale, di cui al D.P.R. 235/2001 citato, che continuano a trovare applicazione anche in Friuli Venezia Giulia”. Una affermazione di tale tipo, infatti, può trarre in inganno colui il quale deve applicare la disposizione. Il dpr 231/2001, infatti, contiene soltanto aspetti di pubblica sicurezza, igienico - sanitari e fiscali. Di conseguenza, sarebbe stato più corretto affermare che, oltre al dpr 235/2001, in Friuli Venezia Giulia, si applica anche la legge regionale 29 del 2005. Insomma, sono trascorsi ormai sette anni dalla modifica del titolo V Cost. che ha determinato un nuovo riparto delle attribuzioni tra Stato e regioni e sconvolto lo stesso sistema di gerarchia delle fonti; dieci anni dalla legge di riforma della pubblica amministrazione, la legge 59 del 1997, che ha dato avvio al processo di delegificazione e semplificazione dei procedimenti e ben 18 dalla legge sul procedimento amministrativo. Vent’anni, in pratica, in cui sono state tante e tali le modifiche intervenute all’ordinamento giuridico che è possibile e, quindi, scusabile una lettura non sistematizzata delle disposizioni che riguardano il particolare segmento della somministrazione ai soci delle associazioni. Doveroso è, tuttavia, riprendere in esame la normativa che, nel tempo, si è stratificata per contribuire a dare un senso alle disposizioni stesse e perseguire il fine che il legislatore aveva, a suo tempo, individuato.

(su gentile concessione di EDK editore)

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