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Le liberalizzazioni in materia di attività commerciali e le ondivaghe interpretazioni dei Tar sul dl 223/2006
 

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Quali sono gli interessi da tutelare? Sembrano non trovare consonanza i tribunali amministrativi regionali che, a pochi giorni uno dall’altro, sulla medesima problematica, si sono espressi in maniera difforme. Nel primo caso, il Tribunale campano, Napoli, Sezione III, con la sentenza n. 1867 dell’8 aprile 2009, è intervenuto sulla disciplina in materia di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande. Il Tribunale ha precisato che l’Autorità preposta alla tutela della concorrenza ha già sottolineato, in un parere, come la programmazione degli insediamenti commerciali fondata su limiti quantitativi predeterminati si traduca, di fatto, in una ingiustificata pianificazione quantitativa dell’offerta, in contrasto con gli interessi generali. In sostanza, secondo il giudice, sbaglia l’Amministrazione comunale quando ritiene che il diniego sia legittimo in quanto basato su un atto di programmazione comunale che ha preso come riferimento i limiti numerici di cui all’articolo 3 comma 4 L. 287/1991, riguardanti il rapporto con la popolazione residente. Infatti, secondo il Comune, i parametri sarebbero volti a tutelare una equa distribuzione sul territorio di esercizi pubblici dello stesso tipo, e costituirebbero limitazioni ontologicamente diverse rispetto a quelle vietate dal “decreto Bersani” e ritenute contrastanti con i principi comunitari della libera concorrenza e del libero mercato. In realtà, precisa la Tar campano, la tesi dell’amministrazione non è condivisibile, in quanto il Piano comunale approvato nel 1993 e che viene richiamato nel diniego di autorizzazione, effettua una pianificazione per zone del territorio comunale fondata sull’analisi della domanda e quindi sulla popolazione in ogni singola zona, con l’attribuzione ad ognuna di esse di un certo numero di autorizzazioni in relazione a ciascuna tipologia di esercizio commerciale, e finendo pertanto per determinare le quote di mercato per ogni singolo esercizio autorizzato, il che come è evidente, contrasta con il disposto di cui all’articolo 3 comma 1 lettera d) della legge 248/2006 oltre che con la sua complessiva ratio.
Il Tar, peraltro, chiama in causa la risoluzione ministeriale del 10 ottobre 2006 prot. n. 0008791 (parere rilasciato a seguito di specifica richiesta di un’amministrazione), che il Comune resistente aveva citato nella memoria. Relativamente a questo aspetto, il giudice amministrativo rileva che trattasi di orientamento non vincolante per il giudice amministrativo e, in secondo luogo, che l’interpretazione da essa data è stata censurata dall’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato nel parere del 7 giugno 2007 sopra citato.
In sostanza, conclude il giudice, “alla luce di tali argomentazioni, deve ritenersi che la norma generale di cui all’articolo 19 della legge 241/1990 s.m.i. si applichi anche all’esercizio dell’attività richiesta dalla ricorrente non essendo più vigenti “limiti o contingenti complessivi o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi” e non rientrando la tipologia di esercizio tra quelle espressamente escluse dal regime della DIA (difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’amministrazione della giustizia, alla amministrazione delle finanze etc…).” Insomma, un fulmine a ciel sereno, che in parte viene mitigato da altro pronunciamento. Si tratta dell’ordinanza 172 del 23 aprile scorso e, quindi, di pochi giorni fa del Tribunale amministrativo regionale per la Basilicata, Sezione prima. Con questa ordinanza è stata negata la sospensiva richiesta dalla ricorrente, in relazione al fatto che, secondo il giudice, l'art. 3, comma 1, lett. d), D.L. n. 223/2006 conv. nella L. n. 248/2006 ha abrogato "il rispetto dei limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale", ma non ha abolito il potere degli enti locali di pianificazione/programmazione commerciale in materia di medie e grandi strutture di vendita e perciò anche il potere di determinazione del rapporto tra la sommatoria delle superfici di vendita degli esercizi di vicinato e la sommatoria delle superfici di vendita delle medie e grandi strutture di vendita.
Dai sopraindicati pronunciamenti risulta evidente che è ancora il giudice amministrativo a dettare la linea da seguire, regione per regione, in un comparto, quale quello dello sviluppo economico che invece, più di ogni altro, avrebbe bisogno di regole certe. Del resto, la questione è ormai in mano alla Corte costituzionale. Con ordinanza n. 122 del 24 aprile, il Giudice delle leggi ha dichiarato l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tar del Veneto perchè il Tribunale ha rilevato il contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., per aver violato la competenza legislativa esclusiva esercitata dallo Stato con l’art. 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 ma l’ha fatto con un’interpretazione puramente assertiva della disposizione, così come priva di reale motivazione è la denunciata lesione dell’art. 41 Cost. La mancata motivazione della non manifesta infondatezza, conseguente ad un insufficiente riferimento ai parametri invocati, è causa di manifesta inammissibilità, sottolinea la Corte, come già è stato precisato con le ordinanze n. 249 del 2008, n. 114 del 2007, n. 39 del 2005, n. 126 del 2003. Ma la Corte, tra non molto, sarà chiamata nuovamente ad esprimersi sulla legge n. 29/2007 della regione Veneto, a seguito dell’ordinanza n. 29/2009 emessa in camera di consiglio l'11 dicembre scorso, ma anche sulla disciplina in materia di somministrazione della regione Lombardia, in quanto anche il Consiglio di Stato, chiamato ad esprimersi, ha rimesso ogni decisione al previo pronunciamento della Corte stessa. Marilisa Bombi, 28 aprile 2009
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