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Domanda del 28 aprile 2009:
Pubblico esercizio di somministrazione di alimenti e bevande (bar) all'interno di un centro commerciale composto dall'attività predetta e da una media struttura di vendita di tipo alimentare. Tutti gli ingressi / uscite del centro commerciale si affacciano su strade pubbliche. Da un controllo effettuato emerge che le due attività hanno i servizi igienici in comune, di conseguenza gli avventori possono trasferirsi dal bar al supermercato e viceversa. Tale caratteristica era presente nelle pratiche edilizie di realizzazione del centro commerciale, rilasciate nell'anno 2004 e seguenti. Si richiede un parere in merito al rispetto dei criteri di sorvegliabilità dei P.E. previsti dal D.M. n. 564/1992, in particolare art. 5 comma 2. Si richiede se esistono delle norme particolari per i centri commerciali che legittimino il Comune, in sede di rilascio di permesso a costruire, ad autorizzare la situazione descritta nel quesito. Qualora si ritenga che non siano stati rispettati i requisiti di sorvegliabilità, si chiede se comunque possano essere applicate, in capo al gestore del P.E., le disposizioni di cui all'art. 3 legge n. 689/1981.
Risposta: L’art. 15, comma 1) lettera g) della legge regionale 7 febbraio 2005, n. 28 “Codice del Commercio. Testo Unico in materia di commercio in sede fissa, su aree pubbliche, somministrazione di alimenti e bevande, vendita di stampa quotidiana e periodica e distribuzione di carburanti” fornisce la definizione al “centro commerciale”, intendendo, per questo:
“una media o una grande struttura di vendita nella quale più esercizi commerciali sono inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente. Per superficie di vendita di un centro commerciale si intende quella risultante dalla somma delle superfici di vendita degli esercizi di commercio al dettaglio in esso presenti.”
Dal quesito posto sembrerebbe che all’interno dell’immobile esista una media struttura di vendita ed un PE. Se così fosse non pare che il riferimento al centro commerciale sia pertinente, anche se, non conoscendo la specifica situazione logistica, fornire un parere in tal senso diventa problematico. Cercando, comunque, di interpretare in senso logico le vigenti disposizioni in materia, si chiede se nel caso specifico debba essere osservato quanto previsto dal secondo comma dell’articolo 5 del DM che detta norme in materia di sorvegliabilità dei locali. In particolare, la norma citata dispone che:
“2. Le comunicazioni interne fra i locali adibiti a pubblico esercizio e i locali aventi diversa destinazione, esistenti alla data di entrata in vigore del presente regolamento debbono essere chiuse a chiave durante l'orario di apertura del pubblico esercizio e deve essere impedito l'accesso a chiunque.”
A mio giudizio l’obbligo suddetto non sussiste nel caso in questione, anche in relazione al fatto che la stessa media struttura di vendita può essere considerata “esercizio pubblico” in un’accezione ampia del termine. Va ricordato, infatti, che – per eccesso – anche le attività artigiane (gelaterie, pizzerie ecc.) vanno considerate “esercizi pubblici” ciò in quanto il connotato definitorio dei pubblici esercizi è individuabile nelle fruibilità delle prestazioni rese, da parte della collettività indifferenziata. Ne discende, ha affermato ad esempio il Tar Veneto nella sentenza 2198/2007, che anche le imprese artigiane quando offrano, collateralmente all’attività di produzione, servizi di vendita aventi ad oggetto gli stessi prodotti dell’attività artigianale ed accessibili a tutti i potenziali acquirenti, siano riconducibili – almeno con riguardo a siffatta attività lato sensu commerciale – alla predetta categoria legislativa. Si ritiene, quindi, che laddove il dm 564/1992 fa riferimento “a locali aventi diversa destinazione”, non si riferisce a locali, comunque, aperti al pubblico, bensì a locali in cui l’accesso al pubblico è, invece, inibito.
Marilisa Bombi
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