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Non c’è che dire, in Veneto si gioca d’azzardo non soltanto al casinò ma
anche nelle sale del Palazzo. Ogni puntata, infatti, pare quella giusta per fare
an plain, mentre subito dopo le carte si rimescolano in termini alla Regione
sfavorevoli. E’ il caso dell’ordinanza n. 122 depositata il 24 aprile con la
quale la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della
questione di legittimità costituzionale posta dal Tar del Veneto il 10 luglio
2008, anche se pende ancora un altro ricorso alla Corte e precisamente quello
inoltrato a seguito dell’ordinanza 29/2008.
Con circolare prot. n. 237377 del 30 aprile la Giunta regionale ha informato i
Comuni del Veneto circa i tempi per l’adozione dei criteri di programmazione per
l’insediamento sul territorio comunale di nuove attività di somministrazione al
pubblico di alimenti e bevande, che devono essere approvati entro 180 giorni
dalla data di pubblicazione sul BUR delle relative linee guida. Tale termine,
precisa la Regione, scade il 24 maggio prossimo e tale termine, essendo fissato
con legge, non può che con legge essere modificato.
Ma l’indomani dell’emanazione della circolare della Regione Veneto, con la
quale si evidenzia anche che “i comuni che non abbiano ancora provveduto ad
approvare il proprio atto pianificatorio, potrebbero essere chiamati a
rispondere in sede giurisdizionale nel caso di diniego di autorizzazione,
motivato dalla mancata rispondenza ai parametri e criteri previsti dalla legge
287/1991”, sono intervenuti fatti nuovi e, a tale proposito, sono necessarie
alcune considerazioni, tenuto conto che con sentenza del Consiglio di Stato n.
2808 del 5 maggio 2009 è stato, tra l’altro, affermato che “limitazioni
all’apertura di nuovi esercizi commerciali sono astrattamente possibili purché
non si fondino su quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle
vendite, ossia, in altri termini, sull’apprezzamento autoritativo
dell’adeguatezza dell’offerta alla presunta entità della domanda”.
Ebbene, i criteri previsti dalle linee guide del 4 novembre 2008 prevedono
espressamente che “le nuove autorizzazioni non sono in funzione di algoritmi
precostituiti, ma di una valutazione complessiva che tiene conto delle esigenze
di tutela della concorrenza, del livello di servizio da rendere ai consumatori e
della sostenibilità sociale e ambientale” e tutto ciò, secondo il Consiglio di
Stato non è legittimo, di fronte al dato obiettivo costituito dall’abbinamento
dei due elementi, di norma, utilizzati, la delimitazione di una zona e il
collegamento ad essa del numero massimo degli esercizi autorizzabili.
La vicenda di cui si è occupato il Consiglio di Stato riguardava la regione
Lombardia, ma nulla muta in termini di impostazione e di risultati da ottenere
in base alle relative discipline delle due regioni. In sostanza, il Consiglio di
Stato con la sentenza del 5 maggio ribadisce che gli unici vincoli ammessi sono
quelli riconducibili ai principi di cui all’art. 41, comma II Cost. Del resto,
proprio su ricorso della Regione Veneto, a proposito del d.l. 223/2006, già la
Corte Cost. ha precisato che: “Il presupposto logico su cui la stessa normativa
si fonda è che il conseguimento degli equilibri del mercato non può essere
predeterminato normativamente o amministrativamente, mediante la programmazione
della struttura dell’offerta, occorrendo invece, al fine di promuovere la
concorrenza, eliminare i limiti ed i vincoli sui quali ha appunto inciso la
norma, che ha quindi fissato le condizioni ritenute essenziali ed
imprescindibili per garantire l’assetto concorrenziale nel mercato della
distribuzione commerciale.”
Ricordare, quindi, ai Comuni gli obblighi conseguenti alle linee guida
regionali e ai termini impellenti, ma soprassedere su quanto afferma la
sopraindicata sentenza del Consiglio di Stato del 5 maggio scorso, circa il
fatto che “I principi del Trattato e del nostro ordinamento costituzionale
impongono che i poteri pubblici non interferiscano sul libero giuoco della
concorrenza, astenendosi dallo stabilire inderogabilmente il numero massimo
degli esercenti da autorizzare in una determinata area” equivale a lanciare il
sasso e nascondere la mano.
Per questo motivo, un rapido e deciso intervento della Giunta regionale
consentirà ai Comuni di non trovarsi nella spiacevole situazione che la Regione
stessa ha paventato nella circolare del 30 aprile scorso, ovvero quella di
essere chiamata a rispondere in sede giurisdizionale nel caso di diniego di
autorizzazione sulla base dei vecchi criteri, peraltro, ancora in odore di
incostituzionalità.