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Le conseguenze immediate della sentenza n. 2808 del Consiglio di Stato
del 5 maggio 2009 nella regione Veneto
 

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Non c’è che dire, in Veneto si gioca d’azzardo non soltanto al casinò ma anche nelle sale del Palazzo. Ogni puntata, infatti, pare quella giusta per fare an plain, mentre subito dopo le carte si rimescolano in termini alla Regione sfavorevoli. E’ il caso dell’ordinanza n. 122 depositata il 24 aprile con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale posta dal Tar del Veneto il 10 luglio 2008, anche se pende ancora un altro ricorso alla Corte e precisamente quello inoltrato a seguito dell’ordinanza 29/2008.
Con circolare prot. n. 237377 del 30 aprile la Giunta regionale ha informato i Comuni del Veneto circa i tempi per l’adozione dei criteri di programmazione per l’insediamento sul territorio comunale di nuove attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, che devono essere approvati entro 180 giorni dalla data di pubblicazione sul BUR delle relative linee guida. Tale termine, precisa la Regione, scade il 24 maggio prossimo e tale termine, essendo fissato con legge, non può che con legge essere modificato.

Ma l’indomani dell’emanazione della circolare della Regione Veneto, con la quale si evidenzia anche che “i comuni che non abbiano ancora provveduto ad approvare il proprio atto pianificatorio, potrebbero essere chiamati a rispondere in sede giurisdizionale nel caso di diniego di autorizzazione, motivato dalla mancata rispondenza ai parametri e criteri previsti dalla legge 287/1991”, sono intervenuti fatti nuovi e, a tale proposito, sono necessarie alcune considerazioni, tenuto conto che con sentenza del Consiglio di Stato n. 2808 del 5 maggio 2009 è stato, tra l’altro, affermato che “limitazioni all’apertura di nuovi esercizi commerciali sono astrattamente possibili purché non si fondino su quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite, ossia, in altri termini, sull’apprezzamento autoritativo dell’adeguatezza dell’offerta alla presunta entità della domanda”.

Ebbene, i criteri previsti dalle linee guide del 4 novembre 2008 prevedono espressamente che “le nuove autorizzazioni non sono in funzione di algoritmi precostituiti, ma di una valutazione complessiva che tiene conto delle esigenze di tutela della concorrenza, del livello di servizio da rendere ai consumatori e della sostenibilità sociale e ambientale” e tutto ciò, secondo il Consiglio di Stato non è legittimo, di fronte al dato obiettivo costituito dall’abbinamento dei due elementi, di norma, utilizzati, la delimitazione di una zona e il collegamento ad essa del numero massimo degli esercizi autorizzabili.

La vicenda di cui si è occupato il Consiglio di Stato riguardava la regione Lombardia, ma nulla muta in termini di impostazione e di risultati da ottenere in base alle relative discipline delle due regioni. In sostanza, il Consiglio di Stato con la sentenza del 5 maggio ribadisce che gli unici vincoli ammessi sono quelli riconducibili ai principi di cui all’art. 41, comma II Cost. Del resto, proprio su ricorso della Regione Veneto, a proposito del d.l. 223/2006, già la Corte Cost. ha precisato che: “Il presupposto logico su cui la stessa normativa si fonda è che il conseguimento degli equilibri del mercato non può essere predeterminato normativamente o amministrativamente, mediante la programmazione della struttura dell’offerta, occorrendo invece, al fine di promuovere la concorrenza, eliminare i limiti ed i vincoli sui quali ha appunto inciso la norma, che ha quindi fissato le condizioni ritenute essenziali ed imprescindibili per garantire l’assetto concorrenziale nel mercato della distribuzione commerciale.”

Ricordare, quindi, ai Comuni gli obblighi conseguenti alle linee guida regionali e ai termini impellenti, ma soprassedere su quanto afferma la sopraindicata sentenza del Consiglio di Stato del 5 maggio scorso, circa il fatto che “I principi del Trattato e del nostro ordinamento costituzionale impongono che i poteri pubblici non interferiscano sul libero giuoco della concorrenza, astenendosi dallo stabilire inderogabilmente il numero massimo degli esercenti da autorizzare in una determinata area” equivale a lanciare il sasso e nascondere la mano.
Per questo motivo, un rapido e deciso intervento della Giunta regionale consentirà ai Comuni di non trovarsi nella spiacevole situazione che la Regione stessa ha paventato nella circolare del 30 aprile scorso, ovvero quella di essere chiamata a rispondere in sede giurisdizionale nel caso di diniego di autorizzazione sulla base dei vecchi criteri, peraltro, ancora in odore di incostituzionalità.

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