: Il quesito contiene alcune problematiche complesse. In base ai dati forniti sembrerebbe trattarsi di attività di somministrazione effettuata da un circolo aderente ad enti od organizzazioni aventi finalità assistenziali. In caso contrario, infatti, il procedimento avrebbe dovuto essere sottoposto ad autorizzazione (articolo 3 dpr 235/2001)
I regolamenti di delegificazione
L’esercizio dell’attività di somministrazione all’interno dei circoli privati è disciplinata dal dpr 235/2001. Il regolamento di semplificazione è stato emanato in attuazione dell’articolo 1. (Delegificazione di norme e regolamenti di semplificazione) della legge 8 marzo 1999, n. 50 "Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi - Legge di semplificazione 1998";
1. In attuazione dell'articolo 20, comma 1, della legge 15 marzo 1997, n. 59, sono emanati regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, per la delegificazione e la semplificazione dei procedimenti amministrativi di cui agli allegati 1 e 2 della presente legge. I regolamenti si conformano ai criteri e princìpi e sono emanati con le procedure di cui all'articolo 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, e agli articoli 2, 3 e 5 della presente legge.
La legge 50/99, al numero 40) individua, specificatamente, il “Procedimento per il rilascio della autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande da parte di circoli culturali privati” In sostanza, il dpr 235/2001 è un regolamento di delegificazione, che appartiene a quella tipologia di atti che, emanati su delega del Parlamento al Governo disciplinano ex novo una materia precedentemente disciplinata da norma primaria abrogandola per espressa previsione contenuta nella legge di delega (norma primaria).
Di conseguenza, l’attività di somministrazione di cui trattasi non è più disciplinata dall’articolo 86 del tulps bensì dal dpr 235/2001.
I requisiti soggettivi per la somministrazione dei circoli
Il dpr 235/2001 prevede, all’articolo 2, che nella denuncia il legale rappresentante dichiara
a) l'ente nazionale con finalita' assistenziali al quale aderisce;
b) il tipo di attivita' di somministrazione;
c) l'ubicazione e la superficie dei locali adibiti alla somministrazione;
d) che l'associazione si trova nelle condizioni previste dall'articolo 111, commi 3, 4-bis e 4-quinquies, del testo unico delle imposte sui redditi;
e) che il locale, ove e' esercitata la somministrazione, e' conforme alle norme e prescrizioni in materia edilizia, igienico-sanitaria e ai criteri di sicurezza stabiliti dal Ministero dell'interno ai sensi dell'articolo 3, comma 1, della legge e, in particolare, di essere in possesso delle prescritte autorizzazioni in materia.
3. Alla denuncia e' allegata copia semplice, non autenticata, dell'atto costitutivo o dello statuto.
4. Se l'attivita' di somministrazione e' affidata in gestione a terzi, questi deve essere iscritto al registro degli esercenti il commercio di cui all'articolo 2 della legge.
Come appare evidente dalla lettura della sopraindicata disposizione, non è prevista, in capo al legale rappresentante alcun requisito di onorabilità. Il possesso di questo requisito potrebbe, eventualmente, essere richiesto all’eventuale gestore. Infatti, il punto 4 dell’articolo 2 del dpr 235/2001 fa riferimento al Registro esercenti il commercio che, prima della sua abrogazione, rendeva possibile l’iscrizione di un soggetto previa verifica del possesso di pre-determinati requisiti morali.
Non è sostenibile, quindi, la tesi sull’obbligo del possesso dei requisiti di cui agli articoli 11 e 92 del tulps; in quanto se il legislatore li avesse voluti prevedere lo avrebbe fatto espressamente come, infatti, è avvenuto con analoghi regolamenti di delegificazione quali, ad esempio, i dpr 480 e 481 del 2001.
Decreto di condanna
L’articolo 92 del tulps dispone che:
“Oltre a quanto è preveduto dall'art. 11, la licenza di esercizio pubblico e l'autorizzazione di cui all'art. 89 non possono essere date a chi sia stato condannato per reati contro la moralità pubblica e il buon costume, o contro la sanità pubblica o per giuochi d'azzardo, o per delitti commessi in istato di ubriachezza o per contravvenzioni concernenti la prevenzione dell'alcoolismo, o per infrazioni alla legge sul lotto, o per abuso di sostanze stupefacenti.”
Il decreto penale di condanna fa parte dei cosiddetti riti speciali alternativi al rito ordinario nel processo penale. Come tutti i procedimenti alternativi al rito ordinario è stato creato per l'esigenza di deflazionare il più possibile l'enorme carico di lavoro che grava sui tribunali in Italia. Esso costituisce un procedimento particolare in quanto consiste in una sorta di "condanna" che la magistratura inquirente richiede al giudice per le indagini preliminari, quando ritiene fondata la colpevolezza, all'indagato, senza un formale processo. In pratica il decreto penale, previsto dall’articolo 459 c.p.p è un provvedimento giuridico emesso senza contraddittorio.
Peraltro, il comma 5 dell’articolo 460 c.p.p. dispone che:
Il decreto penale di condanna non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento, né l'applicazione di pene accessorie. Anche se divenuto esecutivo non ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo. Il reato è estinto se nel termine di cinque anni, quando il decreto concerne un delitto, ovvero di due anni, quando il decreto concerne una contravvenzione, l'imputato non commette un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale e la condanna non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena.
Tenuto conto di un tanto, il reato in questione si è da tempo (tre anni) estinto. Nell’affrontare la complessa problematica va, peraltro, tenuto in considerazione il fatto che, molto probabilmente, il decreto di condanna emesso nel 2003 è riconducibile ad un improprio utilizzo degli apparecchi da intrattenimento. A tale proposito va evidenziato il fatto che le violazioni in materia di apparecchi da intrattenimento di cui all’articolo 110 tulps è stato di recente depenalizzato e la Corte costituzionale ha già avuto modo di precisare che le norme favor rei vanno applicate anche per i reati commessi prima della novella. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 215 del 18 giugno 2008, infatti, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 1, comma 547 della legge 266/2005 per il contrasto della stessa con l’art. 3 della Carta. L’articolo bocciato prevedeva che per le violazioni al tu di pubblica sicurezza, commesse in data antecedente all’entrata in vigore della l. 266, si applicavano le norme vigenti al tempo dell’infrazione. La successione normativa prevista dal legislatore, ha evidenziato la Corte, ha fatto venir meno il rilievo penale delle violazioni del tulps, commesse anteriormente alla legge, ma ha disposto che debba continuare ad applicarsi la legge vigente al momento del fatto per le violazioni commesse nel passato. Questa è un’eccezione nell’ordinamento, in quanto per il principio di uguaglianza, la modifica (in meglio) della legge penale deve valere anche per il passato, ancor più precisa il giudice se il reato viene cancellato, come è avvenuto in questo caso dove la sanzione penale è stata sostituita da una sanzione amministrativa. Rientra nella possibilità del legislatore, ha chiarito la Corte, rivalutare il disvalore del reato, ma questa valutazione deve riflettersi anche a vantaggio di coloro che hanno posto in essere la condotta in un momento anteriore. Il principio della retroattività della legge penale favorevole, in pratica, è suscettibile di limitazioni e deroghe, ma solo se adeguatamente giustificato e dimostrato. In questo caso, invece, secondo la Corte, la norma contestata “contraddice gli obiettivi della depenalizzazione, rappresentati, in base a quanto risulta dai lavori preparatori, dalla necessità di assicurare maggiore celerità di definizione dei procedimenti e di demandare l’irrogazione delle sanzioni all’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato che, in questo settore, ha maggiori competenze tecniche nel settore.
Concludendo, si ritiene che l’eventuale comunicazione della notizia di reato per falso ideologico debba necessariamente essere preceduta da una riflessione sulle problematiche sopraevidenziate.