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Domanda del 19 giugno 2008:
L'Unione del Commercio provinciale ci chiede di verbalizzare per irregolarità nella vendita straordinaria solo in base all'invio, al domicilio dei clienti abituali, di un gadget con un allegato nel quale viene la Ditta indicherebbe l'inizio della vendita in periodo vietato, prima cioè del periodo previsto dalla L.R. Lombardia. Questo Comando non ha accertato (su manifesti - pubblicità - organi di stampa- ispezione commerciale) l'inizio anticipato della vendita. Siamo nel giusto se riteniamo, in base alla 689/1981 che, non avendo rilevato la violazione su area pubblica, in area privata aperta al pubblico o tramite pubblicità rivolta all'utenza ed al pubblico, che una privata comunicazione tra Ditta e clienti, della quale noi non abbiamo avuto riscontro o prova diretta,non sia elemento sufficente per procedere alla contestatazione dell'illecito?

Risposta:

La questione non è semplice in quanto originaria giurisprudenza riteneva necessaria proprio quella pubblicizzazione a cui viene fatto riferimento nel quesito. Tuttavia più recente giurisprudenza mi ha personalmente indotto a riconsiderare la problematica, alla luce della sentenza n. 6997 del 15 luglio (22 settembre) 2004, tar Lazio, sezione II ter. Penso non ci sia nulla da aggiungere rispetto a quanto esposto dal giudice amministrativo.
 
(estratto dal sito www.giustizia-amministrativa.it)
REPUBBLICA ITALIANA
N.              Reg.Sent.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Anno
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
N.            Reg.Ric.
DEL LAZIO - SEZIONE II ter
Anno
composta dai Signori:
Consigliere                Roberto          SCOGNAMIGLIO    Presidente rel.
Consigliere                Paolo              RESTAINO                correlatore
Primo referendario   Silvia              MARTINO                 correlatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 508 del 2004 proposto dalla COIN S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Enrico Romanelli, Gabriele Pafundi e Alfredo Bianchini ed elettivamente domiciliata presso lo studio dei primi due in Roma, viale Giulio Cesare, n. 14.
CONTRO
- il Comune di Roma, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Pietro Bonanni ed elettivamente domiciliato presso gli studi dell’avvocatura comunale in Roma, via del Tempio di Giove n. 21;
per l’annullamento
-          della determinazione dirigenziale del Comune di Roma, Dipartimento VIII, n. 26 del 14.1.2004 che dispone la sospensione per la durata di giorni cinque dell’attività di vendita presso l’esercizio Coin s.p.a. siton in Roma, piazzale Appio n. 7 – via Magnia Grecia n. 2;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione resistente;
Viste le memorie prodotte dalle parti;
Visti i motivi aggiunti depositati dalla ricorrente;
Visti gli atti tutti della causa;
Uditi, alla pubblica udienza del 16 febbraio 2004, con designazione del Presidente Roberto Scognamiglio relatore della causa, gli avv.ti come da verbale di udienza;
Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO  e DIRITTO
1. Con due separati accertamenti effettuati nell’esercizio commerciale di piazzale Appio, nelle date del 7 e 8 gennaio 2004 il terzo gruppo del Servizio ispettivo annonario del comune di Roma elevava due distinti processi verbali con i quali contestava alla ricorrente la violazione degli articoli 46 e seguenti della legge della regione Lazio 18 novembre 1999 n. 33 e dell’art. 15 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 114 per avere effettuato una vendita straordinaria di fine stagione in periodo non consentito.
Invero, ai sensi dell’art. 12 della legge regionale 25 maggio 2001 n. 12, che modifica il primo comma dell’art. 48 della citata legge regionale 33 del 1999, in tutto il territorio della regione le vendite di fine stagione, che riguardano i prodotti di carattere stagionale o di moda suscettibili di notevole deprezzamento se non venduti entro un certo periodo di tempo, hanno inizio, per il periodo invernale, a partire dal secondo sabato del mese di gennaio (nel caso di specie: 10 gennaio 2004) e possono avere una durata massima di sei settimane consecutive.
Contro gli anzidetti processi verbali la società COIN proponeva ricorso ai sensi dell’art. 18 della legge 24 novembre 1981 n. 689.
In relazione a questa reiterata condotta il dipartimento VIII° del comune applicava, con il provvedimento in questa sede impugnato, la sanzione accessoria della sospensione dell’attività di vendita al pubblico per avere riscontrato nel caso in esame la fattispecie della recidiva come definita dall’art. 22, comma secondo, del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 114, modificato dall’art. 79, comma terzo, lettera c), della legge regionale 16 aprile 2002 n. 8.
Ai fini dell’applicazione della anzidetta sanzione accessoria l’amministrazione comunicata alla ricorrente, con nota del 10 gennaio 2004, l’avvio del procedimento ai sensi degli articoli 7 e 8 della legge 7 agosto 1990 n. 241, conferendo un termine per le controdeduzioni, fissato per le ore 13,00 del giorno 12 gennaio 2004.
Con il provvedimento impugnato (determinazione dirigenziale 14 gennaio 2004 n. 26) l’amministrazione, dopo avere esaminato attentamente la memoria difensiva tempestivamente depositata dalla società COIN e richiamato un parere dell’avvocatura comunale, espresso con nota 5 gennaio 2004 n. 265 in relazione ad iniziative di vendita in prossimità della data prevista per l’inizio delle vendite di fine stagione a favore di una ristretta cerchia di clienti possessori di apposita tessera che ne attesta la “fedeltà” (consuetudine agli acquisti nel medesimo esercizio commerciale), comminava la chiusura dell’esercizio per la durata di giorni cinque a decorrere dal 19 gennaio 2004.
Contro il detto provvedimento la società COIN ricorreva con atto notificato il 15 gennaio 2004, depositato nello stesso giorno lamentando eccesso di potere, sviamento per irragionevolezza, violazione dell’art. 50 della legge regione Lazio 18 novembre 1999 n. 33, violazione dell’art. 49 della citata legge regionale 33 del 1999 e difetto di motivazione.
L’esecuzione dell’atto impugnato era sospesa in via provvisoria con decreto presidenziale 16 gennaio 2004 n. 230.
La ricorrente ha presentato ulteriori motivi di censura entro il termine per ricorrere.
Le parti hanno depositato ampie memorie a sostengo delle rispettive tesi difensive.
Alla udienza pubblica del 16 febbraio 2004, fissata previa rinuncia delle parti ai termini processuali, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
2.   Il commercio è attività di scambio di merci e capitali esercitata a scopo di lucro ed esplicata generalmente mediante atti di compravendita. Esso serve da elemento di raccordo tra la produzione e consumo ed è tipica espressione della libertà di iniziativa economica garantita dalla Costituzione, soggetta ai limiti e alle limitazioni in presenza dei presupposti indicati dalla legge ovvero sulla base della legge a tutela di interessi meritevoli di essere considerati in modo particolare e che rischierebbero di essere pregiudicati dall’esercizio del commercio senza controlli e rimesso al mero arbitrio degli operatori.
In questo specifico settore dell’economia privata la pubblica amministrazione svolge una azione penetrante di coordinamento, la quale senza giungere a forme di direzione e di manovra assume concretezza nei poteri di vigilanza e, in taluni casi (per lo più desueti), di programmazione, che le competono, i quali si concludono con una valutazione sulla stessa ammissibilità del privato all’esplicazione dell’attività anzidetta.
Il sistema nella sostanza non è cambiato anche a seguito della profonda pseudo-liberalizzazione introdotta dal decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 114 in attuazione dell’art. 4, comma quarto, della legge 15 marzo 1997 n. 59, con la quale, a differenza di altri settori rimasti, per dissonanza legislativa, soggetti a vincoli, autorizzazioni preventive e altre limitazioni, è stata sottratta a questo settore la intima razionalità di un vero sistema liberale volto ad assicurare, nel rispetto della legge, un equilibrio tra quanti investono la propria esistenza e il patrimonio in una attività che ha notevoli rilievi di pubblico interesse e che è soggetta (a rischio esclusivo degli operatori) a un regime di accentuata concorrenza.
            Senza considerare i casi eccezionali, come le limitazioni (disposte, ad esempio, col calmiere, che è un sistema di contenimento dei prezzi) ovvero il divieto di commercio di determinate merci (ad esempio, armi da guerra, stupefacenti), l’attività del commercio resta comunque soggetta a una puntuale disciplina per assicurare alla rete distributiva un assetto ordinato attraverso la realizzazione di molteplici obiettivi, quali la produttività e l’efficienza dell’intero settore, la difesa contro azioni fraudolente o di mera turbativa, il rispetto della concorrenza e l’equilibrio tra le varie forme di offerta, la considerazione delle situazioni socio-economiche e del territorio eventualmente coinvolto, il contenimento dei prezzi e, infine, la tutela del consumatore.
            E’ nutrito l’art. 2 della legge della regione Lazio 18 novembre 1999 n. 33, che interessa il caso di specie, laddove elenca le molteplici finalità perseguite dalle disposizioni che disciplinano le funzioni e i compiti amministrativi in materia di commercio, nel rispetto dei principi fissati dal decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 114.
            Conviene sin da ora chiarire che tra la congerie delle disposizioni citate, la maggior parte di esse non sono poste a tutela diretta del consumatore, bensì ad assicurare l’ordine nell’esercizio del commercio, dal quale indirettamente trae beneficio lo stesso consumatore.
3.         Una particolare attenzione è dedicata dal legislatore a forme straordinarie di vendita che, se incontrollate, possono anche alterare l’equilibrio dell’offerta a danno degli operatori del settore (gli altri commercianti, i fornitori, i dipendenti dell’azienda), con possibile (ma ultima) ricaduta negativa sugli stessi consumatori.
Le forme particolari di vendita, disciplinate dall’art. 15 del decreto legislativo 114 del 1998 e, nella regione Lazio, dal capo I° del titolo IV della legge regionale 33 del 1999, sono le vendite di liquidazione, di fine stagione, le promozionali e le altre vendite con le quali il dettagliante offre i prodotti a condizioni favorevoli di acquisto.
Sono, queste, strategie commerciali che tendono a conseguire un abnorme incremento delle vendite, facendo leva sulle “condizioni favorevoli di acquisto” che sono all’evidenza fuori dai confini di quel normale spazio di trattativa entro il quale il commerciante può muoversi senza rinnegare le finalità del suo commercio.
E’ noto, infatti, che lo spirito dell’attività commerciale è quello di offrire un prodotto al consumatore a un prezzo che, oltre a coprire il costo di acquisto, gli oneri tributari, le spese tutte (locali, utenze, pubblicità, personale) dia il giusto profitto per remunerare il lavoro e il capitale impiegato.
All’interno di quei confini, l’autonomia privata consente al commerciante di contrarre gli utili (abbassando, quindi, il prezzo di vendita) allo scopo di attirare la clientela, sviandola dalla concorrenza.
Pertanto, lo sconto, l’ampiezza della dilazione di pagamento, la parziale gratuità della stessa (tasso zero), la mancata richiesta di anticipo sul prezzo, la rinuncia (a proprio rischio) alle garanzie (patto di riservato dominio, effetti cambiari, avallo di terzi, cessione del credito a istituti finanziari), la gratuità del trasporto a domicilio e del montaggio, le offerte speciali (paghi due, ne acquisti tre) e le altre (normali) “condizioni favorevoli di acquisto” che agiscono in definitiva sul prezzo e mirano a prevalere sulla concorrenza, sono azieni lecite senza possibilità di essere contrastate.
Diverso è il discorso relativo alle condizioni “troppo” favorevoli di acquisto, destinate a spiazzare la concorrenza perché capaci di attirare con forza abnorme la clientela interessata a benefici non consueti.
E’ evidente che in questi casi il controllo da parte della legge e dell’amministrazione deputata alla disciplina del commercio si impone in misura maggiore. E’ necessario, infatti, allo scopo di assicurare l’ordine nel settore, accertare che dietro le operazioni anomale non si nascondino fini illeciti.
Contrastano tali fini le disposizioni che pongono limiti ai “richiami” e alle inserzioni pubblicitrie relative (divieto di riferimento a procedure fallimentari; indicazione del tipo di offerta di vendita straordinaria, che sono nominativamente predeterminate dalla normativa) ed esigono particolare trasparenza nella pubblicità dei prezzi (indicazione del prezzo originario, della percentuale di ribasso e del nuovo prezzo ribassato).
Il commerciante che “svende” la propria merce senza una ragione plausibile (cessazione dell’attività, cessione dell’azienda, riconsegna dei locali, rinnovo delle attrezzature, smaltimento delle rimanenze di magazzino, alleggerimento delle scorte che ingombrano i depositi e altro) potrebbe agire per fini che disturbano la catena commerciale (oggi detta “filiera”).
Si pensi al venditore che ha acquistato dal fornitore un ingente quantitativo di merce, avvalendosi di una considerevole agevolazione sui tempi di pagamento; che liquida la merce con una vendita straordinaria per poi sparire in stato di insolvenza.
Il consumatore è involontario quanto inconsapevole fruitore dei benefici di una truffa (salvi i casi di incauto acquisto). In primo piano sono, invece, danneggiati quanti hanno intrecciato rapporti col commerciante disonesto, che con operazioni azzardate e senza scrupolo disgrega l’ordinato procedere dell’attività commerciale sulla piazza.
E’ questo il motivo per il quale i riferimenti alla tutela dei consumatori vanno intesi in modo corretto e, in ogni caso, collegati a norme specifiche di tutela diretta.
4.         Per entrare nel vivo della controversia, è utile premettere che le vendite di fine stagione (così detti “saldi”) sono indubbiamente operazioni anomale che, mosse dagli scopi indicati dalla legge (vendita di prodotti di carattere stagionale o di moda, suscettibili di notevole deprezzamento se non venduti entro un certo periodo di tempo), procedono con lo strumento dell’abbassamento anomalo del prezzo (vendita “sotto costo” o conunque a un prezzo non sufficientemente remunerativo per tenere in piedi un’attività commerciale).
Gli effetti di simile operazione sono quelli di un grosso impatto sulla concorrenza a motivo della forte attrazione di clientela.
Il prezzo è, infatti, il maggior richiamo del consumatore quando questi propende per il prezzo più conveniente ovvero presume di essere capace di individuare una analogia tra prodotti generalmente differenti che vengono proposti a prezzi non eguali.
Il legislatore disciplina la fattispecie per evitare che si scateni una “guerra dei prezzi”, con inevitabile disorientamento del consumatore (effetto indiretto) e alterazione della concorrenza e dell’ordinato assetto dell’apparato distributivo (effetto diretto).
I saldi di fine stagione sono, pertanto, disciplinati in maniera omogenea dalle regioni (art. 15, comma sesto, del decreto legislativo 114 del 1998) e sono consentiti entro un arco di tempo predeterminato.
Nel caso di specie, l’art. 48 della legge regionale 33 del 1999, come modificato dall’art. 12 della legge regionale 25 maggio 2001 n. 12, fissa due occasioni annuali di vendita di fine stagione della durata massima di sei settimane consecutive “a partire dal secondo sabato del mese di gennaio per il periodo invernale” e del “secondo sabato del mese di luglio per il periodo estivo”.
La vendita di fine stagione deve essere preceduta da comunicazione al comune, inviata almeno 5 giorni prima dell’inizio dell’offerta, e contenente le indicazioni elencate nell’art. 48, comma terzo, della citata legge regionale 33 del 1999, comprese quelle liberamente determinate dal commerciante (art. 12 legge regionale 12 del 2001).
5.         La controversia in esame prende le mosse dal convincimento della società ricorrente di potere anticipare il periodo della vendita straordinaria di fine stagione a favore di una propria selezionata clientela, considerando simile facoltà espressione della libertà di iniziativa economica.
Per questo motivo essa si è opposta ai due verbali di accertamento di violazione dell’art. 49 della legge regione 33 del 1999 con riferimento all’art. 22 del decreto legislativo 114 del 1998, elevati dal servizio ispettivo dell’VIII° Dipartimento (commercio, annona e mercati) in giorni consecutivi (7 gennaio 2004 alle ore 11,00 e 8 gennaio 2004 alle ore 13,00); nonché dinnanzi a questo giudice amministrativo, al provvedimento indicato in epigrafe, col quale le è stata comminata - ai sensi dell’art. 50, comma secondo, della legge regionale 33 del 1999, come modificato dall’art. 79, comma terzo, lett. c), della legge regionale 16 aprile 2002 n. 8 – la sanzione accessoria della sospensione dell’attività di vendita per un periodo di giorni 5 a decorrere del 19 gennaio 2004.
L’esecuzione della sanzione è stata sospesa con decreto cautelare.
6.         E’ bene cominciare col chiarire che l’attività promozionale legata all’uso della speciale “carta-fedeltà” è perfettamente legittima.
La ricorrente, infatti, alla clientela disposta a declinare le proprie generalità e a essere iscritta in un elenco che ne attesti una certa assiduità negli acquisti (senza, peraltro, alcun obbligo di effettuarne) elargisce una serie di vantaggi: facilitazione di pagamento; servizi aggiuntivi gratuiti (piccole modifiche di sartoria, cifratura della camicie, consegna a domicilio, consulenza turistica, parcheggio); accesso al credito offerto da società finanziarie collegate e in particolare, il beneficio di sconti sui prezzi di vendita (ad esempio: sconto del 10% all’inizio di stagione per rinnovare il guardaroba; ulteriore sconto del 5% e del 10% nel caso di acquisti superiori a un certo importo).
Non vi è dubbio che il sistema della tessera costituisce una strategia di cura della clientela che ogni impresa, che intende fornire ai propri clienti l’accesso a particolari vantaggi, è libera di adottare in qualunque momento dell’anno nell’esercizio della sua autonomia privata.
A ben vedere, si tratta di piccoli vantaggi che l’azienda recupera sul prezzo di vendita ovvero su una leggera contrazione degli utili ben compensata dal possibile incremento delle vendite.
In particolare, la contrazione degli utili è una scelta di tecnica commerciale indiscutibilemente lecita dell’imprenditore, che punta ad aumentare il volume degli affari e a mettere sotto pressione la concorrenza, che si vede costretta ad adeguarsi al sistema per non essere esclusa dal mercato.
Quanto è stato ora detto non consente di attribuire al sistema della tessera di fedeltà il carattere di una “vendita promozionale”.
Quest’ultima forma di vendita, che ha pure carattere straordinario, è trattata quando l’azienda ha necessità di lanciare sul mercato un nuovo prodotto, che la clientela con difficoltà è disposta ad accettare.
Il motivo della diffidenza può dipendere dalla circostanza che viene offerto un prodotto non ancora conosciuto ovvero sull’utilità (vera o solamente fatta credere) del quale l’utente non ha ancora chiara cognizione.
In simili occasioni il vantaggio di diffondere il prodotto in vista di future affermazioni compensa il minor guadagno sin dall’inizio preventivato.
E’ frequente, in questi casi, che lo sconto ecceda la normale riduzione del prezzo che ciascun commerciante è disposto a concedere per non disperdere la clientela.
Pertanto, i vantaggi collegati al possesso della carta riservata alla clientela, frutto di abile suggestione indotta nei potenziali acquirenti, rientrano in un normalissimo sistema di sconti, il quale sostituisce il consueto gioco della trattativa, peraltro poco adatto a operatori della grande distribuzione.
In definitiva, al di fuori dei casi di vendite straordinarie, il cliente si sente ammesso, con l’uso della carta, a riduzione di prezzo che non avrebbe potuto ottenere dalla grande distribuzione (anche se si tratta della stessa riduzione che otterrebbe presso la piccola distribuzione intavolando trattative dirette con il commerciante); si sente parte privilegiata della clientela, alla quale soltanto (illusoriamente) viene accordata una particolare fiducia, una significativa attenzione, un occhio di tutto riguardo.
Trattandosi di mere suggestioni, risulta evidente quale sia nell’affare il contraente davvero avvantaggiato.
Una volta contattato il “cliente fedele” la possibilità di offrire una vastissima gamma di prodotti (cosa che può fare solo la grande distribuzione) determina l’accentuarsi di una propensione all’acquisto che rende concreta quella “fedeltà” e che, a dire il vero, si basa sul niente, come dimostra il liberissimo accesso alle stanze segrete dei privilegi.
7.         Non altrettanto può dirsi quando le offerte di vendite straordinarie (nelle diverse tipologie indicate nell’art. 46 della legge regionale 33 del 1999) integrino per loro stesse un illecito.
Sul punto che le vendite di fine stagione al di fuori del limitato arco di tempo consentito dalla legge regionale 33 del 1999 sulla base della attribuzione di competenze disposte in forza dell’art. 15, comma sesto, del decreto legislativo 114 del 1998, costituiscano un illecito amministrativo non ha mestieri soffermarsi.
Come pure non è in discussione nel caso di specie la consapevolezza della ricorrente di quale fosse il periodo di tempo entro il quale è possibile lanciare una campagna di saldi di fine stagione nella regione Lazio.
E invero, con lettera del 12 dicembre 2003 il rappresentante del gruppo commerciale comunicava che “nel periodo che va dal 10 gennaio al 21 febbraio 2004 verrà effettuata una vendita di fine stagione (saldi) presso il nostro negozio di Roma, piazzale Appio 7, con sconti alla cassa dal 20% al 50%.
8.         La ricorrente sostiene (nel terzo mezzo di censura con rubrica: “Violazione dell’art. 49 della legge regionale Lazio 18 novembre 1999 n. 33) che, fermo restando l’obbligo di restringere entro un arco di tempo predeterminato le offerte speciali dirette al pubblico indiscriminato, nessuna norma (regionale o statale) attribuisce carattere di illiceità alle vendite di liquidazione, alle vendite di fine stagione o promozionali riservate a una limitata categoria di clientela, selezionata attraverso il rilascio di apposita carta-fedeltà.
In questo caso, continua la ricorrente, l’offerta speciale può essere lecitamente disposta in qualsiasi momento dell’anno, come dimostrerebbero le indisturbate iniziative promozionali di una nota catena di supermercati alimentari che raccoglie la propria affezionata clientela nel club “spesamica”.
Il paragone tentato dalla ricorrente è inconferente atteso che quello segnalato è un normale caso di agevolazioni attraverso buoni-sconto, raccolta di punti (“operazioni-premio”) e altre iniziative in un settore (alimentare) nel quale, come pare ovvio, non sono immaginabili vendite…di fine stagione (come argutamente chiosa in udienza l’avvocato del comune: le mozzarelle a fine stagione….sanno di stantio!).
E’ pertanto da escludere che la tesi sostenuta dalla ricorrente abbia serio costrutto.
Questo non tanto con riferimento alla facilità con la quale è possibile ottenere la carta (si è detto che è sufficiente declinare le proprie generalità: anche se questo può non piacere a tutti), quanto al fatto che la carta è pur sempre una occasione offerta al pubblico. Vero è che non si mette in dubbio la libertà del gestore di cedere a prezzo vile merce ai propri parenti e amici (anche se questo non pare agevole quando proprietario dell’azienda sia una società di grandi dimensioni), ma nel caso di specie la mera selezione della clientela non pare idonea a denaturare una attività di vendita al pubblico.
Non vi sono legami personali tra i fruitori della carta e i titolari dell’azienda: il rapporto con il pubblico permane inalterato, con l’aggravante che distinguere la clientela come vorrebbe la ricorrente, nel senso che a taluni sarebbero consentiti acquisti che non sono consentiti ad altri, finirebbe per infrangere anche l’obbligo generalizzato di vendita al pubblico nel rispetto dell’ordine temporale delle rischieste ai sensi dell’art. 3 del decreto legislativo 114 del 1998. La libertà di iniziativa economica non giunge fino al punto di inventare una categoria di non-pubblico tra il pubblico dei consumatori.
Per superare l’attaccamento eccessivo dimostrato dalla ricorrente alla propria tesi, è sufficiente trasferirsi nel vicino campo dell’illecito penale.
E intuibile quanto basso possa essere il costo della merce ricettata, commisurato al mero compenso corrisposto al ladro per la sua (illecita) prestazione.
Sulla merce ricettata il rivenditore può agevolmente spuntare prezzi davvero imbattibili.
Si immagini, a questo punto, una azienda che lontana dall’offrire merce ricettata al pubblico, la riservi in esclusiva alla schiera della propria affezionata clientela opportunamente selezionata: l’illecito penale rimane; così come, nel caso in esame, l’illecito amministrativo non viene meno.
Solo per completezza (perché è fatto estraneo alla controversia) va detto che l’ulteriore agevolazione offerta esclusivamente ai tesserati “Serate Coincard”, durante le quali “i negozi resteranno aperti in orari speciali: così potrai fare aquisti in tutta tranquillità e con lo sconto del 10%; riceverai di volta in volta un invito personale con la data e l’orario di apertura riservato” stride rozzamente contro l’obbligo degli orari di vendita, la violazione dei quali il comune ha l’obbligo di sanzionare con fermezza.
Il tesseramento non è atto idoneo a trasfigurare il pubblico dei consumatori.
9.         E’ il momento di affrontare la controversia sulla base delle censure proposte non senza chiarire in preliminare che oggetto dei rilievi dell’amministrazione non è il sistema degli sconti praticati tutto l’anno a vantaggio dei clienti tesserati, bensì la violazione dei limiti temporali entro i quali sono consentite nella regione Lazio le vendite straordinarie di fine stagione nel periodo invernale 2004.
Non può, pertanto, essere seguita la ricorrente quando contesta all’amministrazione di confondere il sistema degli sconti e vantaggi che il programma della “coincard” riserva tutto l’anno alla propria clientela selezionata (vantaggi dai quali è escluso il pubblico non tesserato) con l’anticipo dei saldi semplicemente perché gli ispettori avrebbero accertato l’esistenza del detto sistema in due giorni (7 e 8 gennaio 2004) nei quali i saldi di fine stagione non sono consentiti secondo le inequivocabili indicazioni dell’art. 12 della legge regionale 25 maggio 2001 n. 12 (di modifica dell’art. 48, comma primo, della legge regionale 33 del 1999).
E’ il caso di osservare, a questo proposito, che non è richiesta alcuna deliberazione comunale per fissare termini già predeterminati rigidamente dalla normativa regionale.
Ancora come considerazione preliminare è da ricordare da un lato come sia stata la stessa ricorrente a comunicare la data di inizio dei propri saldi a decorrere dal 10 gennaio 2004 (lettera del 12 dicembre 2003), dall’altro come sia propria della strategia di vendita della ricorrente l’illecita anticipazione dei saldi (“una speciale anteprima dei saldi invernali e di quelli estivi, che ti permette di scegliere tra tanti capi già scontati segnalati con il cartellino “vantaggio COINCARD”: si legge nell’opuscolo “Coincard, un mondo di privilegi”).
Né può sfuggire che gli sconti offerti nella pure dichiarata anticipazione dei saldi, sia pure a favore dei soli clienti tesserati, sono di entità (dal 20% al 50%) che non si limitano agli sconti strimenziti offerti tutto l’anno agli ipotetici clienti fedeli (dal 5% al 10%).
Giova, infine, osservare che nessun legittimo affidamento può derivare alla interessata dalle inadempienze dell’amministrazione comunale, la quale non sarebbe mai intervenuta in via preventiva dinnanzi agli illeciti vantaggi publicizzati “in modo chiaro e inequivocabile, alla luce del sole e senza che le fosse mai stata contestata la legittimità di questo sistema di sconti” ovvero dai ritardi, se non dalle omissioni nella definizione dei ricorsi promossi dalla stessa avverso precedenti verbali di accertamento del 2000 e del 2001.
Nessun beneficio può essere reclamato sulla base della efficienza della amministrazione comunale.
10.       Dopo le ampie premesse, rese necessarie per inquadrare la fattispecie in esame, si riferisce che è impugnato il provvedimento del dipartimento VIII indicato in epigrafe col quale, constatata la persistenza della violazione delle disposizioni in materia di vendite straordinarie di fine stagione (come risulta da due processi verbali elevati nelle date del 7 e 8 gennaio 2004, nei quali era stata accertata la illecita anticipazione dei saldi di fine stagione) veniva comminata, nella misura minima, la sanzione accessoria della sospensione dell’attività di vendita prevista dall’art. 50, comma secondo, della legge regionale 18 novembre 1999 n. 33, introdotto dall’art. 79, comma terzo, lett. c), della legge regionale 16 aprile 2002 n. 8.
Dopo avere ricordato di avere proposto immediatamente (in data 8 e 9 gennaio) due distinti ricorsi ai sensi della legge 24 novembre 1981 n. 689 avverso rispettivamente il primo e il secondo verbale del servizio ispettivo annonario, la ricorrente espone di avere ricevuto comunicazione del 10 gennaio 2004 di avvio del procedimento di irrogazione della sanzione accessoria con assegnazione del termine per dedurre entro le ore 13,00 del giorno 12 gennaio 2004.
Nei pur ristretti termini concessi, la ricorrente presentava ampia memoria nella quale contestava la legittimità dell’iniziativa capitolina.
Con il provvedimento impugnato, adottato il 14 gennaio 2004, l’amministrazione, assumendo di avere esaminata attentamente la memoria difensiva della interessata, comminava la sospensione dell’attività di vendita per la durata di giorni cinque a decorrere dal 19 gennaio 2004.
Avverso il detto provvedimento la ricorrente muoveva con un primo atto, notificato il 15 gennaio 2004 a mezzo autorizzato di fax e depositato lo stesso giorno, quattro motivi di doglianza, ai quali seguivano altri motivi notificati il 4 e 5 febbraio 2004 e altri ancora il 13 febbraio 2004, impropriamente definiti “motivi aggiunti”, atteso che si tratta di ulteriori motivi di ricorso notificati entro il termine di decadenza per impugnare il provvedimento del 14 gennaio 2004.
Il Collegio ritiene corretto seguire, nell’esame delle doglianze, l’ordine proposto dalla ricorrente.
11.       Con il primo mezzo di censura (eccesso di potere; sviamento per irragionevolezza) la ricorrente si duole della precipitosità del procedimento in assenza di una esigenza che imponesse l’irrogazione della sanzione entro il brevissimo termine di appena undici giorni dalla commissione del primo illecito, con provvedimento adottato con il fiato sul collo dopo soli sette giorni.
Sarebbe evidente lo sviamento di potere perché da un lato il procedimento sanzionatorio è stato adottato senza consentire una adeguata difesa e senza che l’urgenza e la ristrettezza dei tempi fosse altrimenti giustificata; dall’altro perché la sanzione è stata comminata al manifesto scopo di arrecare alla società un danno maggiore di quello che in ogni caso sarebbe inferto con la chiusura in qualsiasi periodo dell’anno, in luogo di quello artatamente prescelto dei saldi invernali, nel quale il movimento commerciale che in quel periodo si determina è notoriamente intenso.
La ricorrente ha perfettamente ragione.
E’ vero che quando irroga la sanzione di sospendere l’attività commerciale l’amministrazione non è tenuta a scegliere in concreto i giorni della sospensione per non produrre danni eccessivi alla azienda.
La amministrazione non potrebbe, ad esempio, disporre la sospensione per i primi giorni di freddo e pioggia, considerato il naturale rallentamento degli affari in giornate che non invitano il pubblico a dedicarsi agli acquisti.
Se questo è vero, è vero anche che la sanzione deve essere applicata alla conclusione (normale; entro i tempi tecnici necessari) del relativo procedimento, senza inspiegabili e inconsuete precipitazioni per provocare dolosamente al soggetto sanzionato un danno maggiore di quello dovuto.
Nel caso di specie è fin troppo evidente la deliberata scelta dell’amministrazione di affrettare la conclusione del procedimento senza alcun motivo per colpire l’azienda proprio durante il periodo dei saldi, notoriamente ricco per gli affari di questo genere.
E’ il caso di ricordare che la stessa ricorrente aveva preannunciato in data 12 dicembre 2003 la vendita di fine stagione per l’arco di tempo dal 10 gennaio al 21 febbraio 2004.
Pertanto, già da quella data l’amministrazione, a perfetta conoscenza del programma di anticipo dei saldi largamente diffuso con mezzi pubblicitari, avrebbe dovuto diffidare la società a correggere l’iniziativa con provvedimento da valere, a tutti gli effetti, come diffida e avvio del procedimento, sia pure sotto condizione dell’accertamento della effettiva anticipazione.
Né è possibile negare l’intendimento dell’amministrazione quale risulta dal complessivo atteggiamento del dipartimento VIII, portato avanti da uno zelante funzionario e avallato dai vertici, ai quali l’esperienza avrebbe dovuto suggerire che in ogni occasione l’amministrazione deve agire con distacco e imparzialità, senza farsi coinvolgere da spinte emotive originate piuttosto dalla incapacità di applicare le norme nel rispetto dei canoni di buona amministrazione.
E’ difatti l’eccesso di potere, non la violazione di legge, che vizia il procedimento sanzionatorio portato avanti con rapidità ingiustificata per raggiungere lo scopo di produrre un danno aggiuntivo (non previsto dalla normativa) attraverso la chiusura dell’esercizio proprio nei giorni di maggiore affluenza di pubblico e con disprezzo dei più elementari diritti del soggetto (sia pure giustamente) da colpire.
Non vale, è ovvio, rispondere che la ricorrente, pure stretta in tempi giugulatori, ha comunque adempiuto e che, pertanto, non ha motivo di dolersi contro la ristrettezza dei tempi concessi per le difesa.
La poderosa dimensione dell’azienda ha consentito a quest’ultima di non essere messa all’angolo, ma l’inusitata ristrettezza dei tempi rimane nel caso di specie come sintomo dell’animo di nuocere che ha mosso l’ufficio con interventi di una tempestività poco usuale nel costume dell’amministrazione capitolina.
E’ sufficiente leggere la nota 23 gennaio 2004 n. 2830 del dipartimento VIII, nella quale si offre una lettura della legge regionale 33 del 1998 che impinge in motivazioni pseudo – sociali, laddove si immagina che l’obiettivo della norma sia quello di “mettere in condizione tutti i consumatori di acquistare qualsiasi tipo di prodotto, anche quelli più costosi”.
In particolare, dimenticando l’esigenza del venditore di smobilitare il capitale investito in prodotti usciti dal mercato (perché passati di moda o espressione di tecniche superate) l’amministrazione attribuisce alle liquidazioni di fine stagione il significato di un “pratica” che dovrebbe avere un “risultato sociale”, come tale da non asseverare alla “logica privata di chi vende solo a chi può permetterselo”.
Pertanto, riservare ad alcuni la possibilità di usufruire di sconti per l’acquisto di prodotti “di carattere stagionale o di moda, suscettibili di notevole deprezzamento se non venduti entro un certo periodo di tempo, implica la impossibilità per gli altri consumatori di accedere a detti prodotti e, comunque, la possibilità di accedervi solo nel caso che gli stessi risultino invenduti ai consumatori privilegiati”.
Considerazioni fuori luogo, come l’invocazione di un “segnale forte che questa amministrazione vuole dare al mondo del commercio”, che attraverso la carta fedeltà “o altro analogo stratagemma” seleziona la propria clientela e rischia di “fare regredire il commercio a una pratica senza alcun risvolto sociale”.
Se questo è lo spirito col quale è stato affrontato l’affare, si capisce che l’esame della memoria difensiva depositata dalla ricorrente in data 12 gennaio 2004 (così recita il quinto capoverso delle premesse dell’atto impugnato) è stato tutt’altro che “attento” e pieno di pregiudizi.
Adeguate correzioni agli eccessi degli uffici sono introdotte dalle misurate difese dell’Avvocatura comunale, alla quale va dato atto di avere ricondotto la controversia entro i giusti limiti.
11.       Il vizio del procedimento accertato al paragrafo precedente assorbe le ulteriori censure proposte in ricorso (nonché nei motivi aggiunti) e, in particolare, la seconda censura di violazione dell’art. 50 della legge regionale 33 del 1999 con riferimento alla sussistenza della recidiva.
Sul tema la ricorrente tornerà con i secondi motivi aggiunti notificati il 13 febbraio 2004.
D’altra parte la ricorrente ha ora disponibile i tempi materiali per apportare i necessari correttivi alle violazioni accertate e certamente si asterrà dal proseguire nel suo comportamento illecito in occasione della prossima tornata di saldi del mese di luglio 2004.
Infatti, l’annullamento dell’atto impugnato in questa sede per l’uso distorto di un potere del quale l’amministrazione certamente dispone non elimina il fatto materiale che, se reiterato, nel corso dell’anno (ovviamente non necessariamente inteso come anno solare, ma come arco di tempo di dodici mesi), darà motivo all’amministrazione stessa, questa volta svincolata da obblighi di avvio del procedimento o di ingiunzioni a porre fine all’attività illecita (si ricordi che il sistema dell’anticipo dei saldi è strategia commerciale dichiarata), di intervenire in presenza di una accertata recidiva e con la sanzione che non avrebbe più senso limitare alla misura minima, attesa la illiceità dell’eventuale insistenza del comportamento della ricorrente, la quale dimostrerebbe in tale caso una inequivocabile pervicace volontà di violare la legge e turbare l’ordinato assetto della concorrenza nel commercio. Le restanti censure restano assorbite.
Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
   Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio sez. II ter, ACCOGLIE il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato in questa sede.
Spese compensate.
Così deciso in Roma dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione seconda ter – nella camera di consiglio del 16 febbraio 2004 con l’intervento dei signori magistrati elencati in epigrafe.
Consigliere    Roberto SCOGNAMIGLIO Presidente estensore:
 
 
/c.m.
 
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