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Raggiunto il traguardo nel Friuli Venezia Giulia: il SUAP comunitario è legge
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Progetto semplificazione: arriva il SUAP di derivazione comunitario ed è,
contrariamente al passato, obbligatorio.
La Regione Friuli Venezia Giulia, prima tra tutte le regioni in Italia, attua la
direttiva Bolkestein ma, nel farlo, evidenzia una problematicità di cui il
Ministero competente dovrà tenerne conto. Le camere di commercio, infatti, che
già ricevono le comunicazioni di inzio attività in via telematica da parte delle
società, in quanto unico sistema ritenuto legale, passano in secondo piano in
quanto tutte le imprese si devono rivolgere allo sportello del comune che,
tuttavia, non è stato ancora informatizzato per la trasmissione diretta dei dati
alle Camere di commercio nazionali. Insomma, piccolo è bello. Mentre a livello
nazionale il Ministro Ronchi ha avviato, dopo aver presentato a metà luglio al
Governo lo schema di decreto legislativo, il confronto con le categorie
economiche sullo schema di detto decreto previsto in attuazione dell’articolo 41
della legge comunitaria 2008, legge 88/2009, nella piccola regione di nord est
si è passati, quindi, ai fatti e con la l.r. 13/2009 entrata in vigore il 6
agosto scorso, è stato dato il via alla nuova fase, pur prevedendo un periodo di
due anni per la definizione delle problematiche connesse ai sistemi di
comunicazione telematica. In pratica, mentre a Roma ancora si discute e la
Conferenza Stato regioni ha subito uno stop causato da incomunicabilità con il
Governo su alcune questioni sostanziali, in Friuli Venezia Giulia si è già nella
fase operativa e si applicano le nuove norme. E dire che, invece, in tutta
Italia si dovrebbe procedere a ritmo serrato perché la data fatidica del 28
dicembre, entro il quale si deve dare attuazione alla direttiva servizi n.
2006/123/CE del 12 dicembre 2006 è ormai alle porte. Per quella data, infatti,
Stato, regioni, province e comuni, dovrebbero aver fatto la loro parte mentre,
da quanto consta, non si è neppure ancora dato avvio alla raccolta dei dati da
inserire nella relazione prevista all’articolo 39, paragrafo 1, della direttiva
Bolkestein, la quale prevede che gli stati membri indicano i propri regimi di
autorizzazione previsti dalle rispettive discipline in modo che ciascun Paese
membro ne possa valutare la reciproca congruità. Diverse, a tale proposito, le
questioni affrontate dalla Regione Friuli Venezia Giulia nella l.r. 13/2009 che
ri-disciplina lo Sportello unico per le attività produttive in chiave
comunitaria e che il Governo, per quanto di propria competenza, ha inteso
inserire all’art. 24 dello schema di decreto di attuazione della direttiva. Da
tale articolo si rileva, comunque, che la disciplina di dettaglio sarà contenuta
nel regolamento previsto dall’art. 38 comma 3 del dl 25 giugno 2008, n. 112. Tra
le innovazioni contenute nella legge friulana, degno di nota è il fatto che ogni
dichiarazione di inizio attività dovrà essere corredata da una certificazione
redatta da un professionista che attesta la conformità dell’iniziativa alle
prescrizioni tecniche previste in materia, mentre la disciplina originaria
prevedeva che fosse il futuro imprenditore a dover attestare gli aspetti edilizi
ed urbanistici, con ciò rischiando di incorrere in dichiarazioni mendaci vista
la complessità del quadro normativo.
L’attestazione
L’altra novità degna di nota introdotta nella legge regionale che disciplina
l’istituzione e l’attività dei Suap, riguarda l’attestazione della presentazione
della dichiarazione di inizio attività e dell’avvenuto silenzio assenso che lo
sportello unico è tenuto a rilasciare. Questa attestazione, che è cosa ben
diversa dalla generica ricevuta prevista dal Dpr 300/1992 e che non può avere
effetti giuridici, consentirà tuttavia all’imprenditore di disporre di un titolo
abilitante da esibire qualora necessario, ovvero anche per ottenere facilmente
credito, tenuto conto che nel passato le banche trovavano difficoltà ad
accettare una ricevuta che dimostrava la mera presentazione di una dichiarazione
che non era stata, ancora, convalidata dalla PA. Ciò in quanto appare evidente
che l’attestazione potrà essere rilasciata soltanto quando sarà stata
riscontrata la completezza della dichiarazione di inizio attività prevista
dall’articolo 19 della legge 241/1990 e la sua regolarità formale, e nei
procedimenti soggetti a silenzio assenso quando lo stesso si sarà legittimamente
formato.
I compiti dei comuni
Alcune riflessioni, tuttavia, a margine della questione circa l’obbligo di
scavalcare le camere di commercio nell’iter procedurale sorgono istintivamente,
tenuto conto che il sistema in essere, gestito da Infocamere, è perfettamente
funzionante in forza anche di una collaudata esperienza. La riflessione riguarda
l’opportunità di prendere in considerazione l’ipotesi di trasferire direttamente
alle camere di commercio tutte le funzioni relative a quei procedimenti che, già
oggi, sono soggetti a dichiarazione di inizio attività in base all’articolo 19
della legge 241/1990, oltre a quelle – in sostanza - che le camere di commercio
già ricevono e relative alle attività di facchinaggio, autoriparazione,
installazione di impianti. Ciò che si rileva opportuno, praticamente, è che i
comuni potrebbero continuare ad occuparsi esclusivamente di quei procedimenti
che le rispettive discipline di settore assoggettano ad autorizzazione, ovvero
dovrebbero rimanere in carico ai comuni le funzioni relative al rilascio delle
autorizzazioni in tutti quei casi in cui il legislatore nazionale ha ritenuto
che la pubblica amministrazione eserciti il potere discrezionale attraverso la
ponderazione degli interessi contrapposti. In tal modo i comuni che si trovano
con sempre minori risorse potrebbero riversare le proprie energie in un’attività
che solo loro possono esercitare, in quanto enti esponenziali della propria
comunità, e di conseguenza titolati ad effettuare le necessarie valutazioni, ed
evitare, quindi, di svolgere l’attività di meri passa-carte per tutti i
procedimenti vincolati. Del resto, lo sportello per l’edilizia già prevede una
supervisione dell’attività edilizia attraverso il rilascio del certificato
(autorizzazione) di agibilità e, di conseguenza l’utilizzo di un immobile con
destinazione d’uso difforme rispetto a quella autorizzata può venire agevolmente
contrastata. E’ evidente che, nel fare ciò, sarà necessario che formalmente,
anche per rispettare le disposizioni comunitarie, lo Stato e le regioni, per
quanto di propria competenza individuino specificatamente le attività soggette
ad autorizzazione, in quanto in questi ultimi anni si è assistito ad un uso
spregiudicato delle dichiarazioni di inizio attività anche laddove le stesse,
legittimamente, non avrebbero potuto essere applicate per la già indicata
necessità della ponderazione degli interessi contrapposti quali, ad esempio, nel
caso dell’apertura di una sala giochi o di una discoteca.
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